Vedere e ascoltare la carne del Figlio …

Omelia del 27 dicembre 2020 (Gv 21, 19c-24)

Vedere e ascoltare la carne del Figlio …

Vorrei partire da una esperienza visiva. A tutti voi sarà capitato di aprire una finestra lasciando fluire la luce del sole in una stanza buia. L’effetto che si produce è quello di un iniziale accecamento. Si è così sopraffatti dalla piena di luce che ci si riversa addosso che da subito non si è nemmeno in grado di distinguere i contorni degli oggetti. Poi, a lungo andare, se si ha la pazienza di aspettare, gli occhi si abituano e tutto, gradualmente, incomincia a riapparirci nella sua reale e seducente bellezza. 

Ecco, ciò che viviamo nel Natale è un’esperienza molto simile a questa. Il Natale è, infatti, anch’esso, una piena di luce che irrompe nell’oscurità, un lampeggiamento inaspettato che rischiara la notte, un’inondazione luminosa che veste la creazione dello splendore di Dio. E, esattamente come la luce del sole che irrompe nella stanza, anche la luce del Natale abbaglia, lasciando gli occhi incapaci di definire con precisione quanto sta accadendo.

Poi, però, gli occhi si abituano e il mistero del Natale appare in tutta la sua incommensurabile bellezza. I giorni che stiamo vivendo hanno proprio questo scopo: abituare i nostri occhi alla luce perché diventiamo capaci di penetrare la bellezza e la verità di quel mistero insondabile di Dio che si è dispiegato nella nascita del suo figlio Gesù.

A questo punto la domanda è: che cosa può dirci questa festa di San Giovanni a proposito del mistero del Natale? In che modo le letture che oggi abbiamo ascoltato possono aprire i nostri occhi, lasciandoci penetrare nella verità di Dio che si dispiega nell’incarnazione del Verbo?

La prima cosa che questa festa dice è che la volontà di Dio di abitare con noi, facendo sua la nostra carne, non è affatto una finzione, benché l’alchimia di spirito e carne, di divino e umano, che questa volontà vorrebbe mettere in atto, risulti ai nostri occhi non solo improbabile, ma addirittura scandalosa.

Giovanni lo dice per i cristiani del suo tempo, naturalmente: negli ultimi anni del I secolo, infatti, la fede cristiana dovette contrastare una fervente tentazione spiritualista il cui intento era quello di ridurre il messaggio cristiano ad una dottrina e dunque ad una parola senza carne; si voleva che il cristianesimo fosse una dottrina mistica, una dottrina che riguarda l’esperienza interiore dell’anima, non l’esteriorità della vita, che doveva essere considerata come qualcosa di infimo e quindi oggetto di disprezzo. E così la vicenda terrena di Gesù – i suoi miracoli, la sua commozione davanti ai malati, la sua pietà per i peccatori, la sua consuetudine di vita con i discepoli, soprattutto la sua ignobile morte – tutto questo doveva essere letto soltanto come una metafora di qualcosa che accade nell’interiorità del cuore.. 

Contro costoro Giovanni ribadisce che l’incarnazione del verbo non è una messa in scena, non si tratta di un espediente un po’ teatrale per affermare la divina volontà di entrare in comunicazione con gli uomini.  Il Verbo, dice Giovanni, si è veramente fatto carne in Gesù e si è fatto carne in Gesù a tal punto che d’ora in avanti la verità di Dio è unicamente quella che si può contemplare contemplando i gesti e ascoltando le parole dell’uomo Gesù. 

Giovanni e gli altri discepoli sono testimoni della verità perché hanno conosciuto Gesù, perché hanno ascoltato le sue parole, perché si sono affezionati a lui, perché hanno visto le sue opere. Non c’è altro modo di dire Dio se non questo che passa dal racconto della vita e dalla carne di Gesù. 

Dovremmo ripetercelo, una volta tanto, anche noi, perché la tentazione spiritualista che insidiava la fede delle prime comunità cristiane, ad essere onesti, una qualche presa ce l’ha anche su di noi.

Pensate a quanti cristiani ancora oggi pensano che il cristianesimo sia soltanto una dottrina, una serie di buoni principi, una filosofia di vita. Pensate a quanti cristiani ancora oggi riducono il cristianesimo ad una morale da osservare e rispettare scrupolosamente. Pensate a quanti cristiani ancora oggi ritengono che il cristianesimo sia un’inclinazione del cuore, una disposizione interiore di benevolenza verso gli altri, oppure ancora, un’esperienza mistica che si consuma in un “a cuore a cuore” con Dio, che non necessita né id sacramenti, né di Eucarestia, né di Chiesa. Pensate a quanti pretendono ancor oggi di poter parlare di Dio, senza far i conti con il vangelo, ovvero con la vita terrena di Gesù, con i suoi miracoli, con la sua passione. 

È lì invece, nella carne e nel sangue di Gesù, che noi troviamo la verità di Dio; è lì che dobbiamo attingere, non altrove, se vogliamo restituire la nostra fede e la nostra testimonianza alla sua verità …

E Giovanni ci dice un’altra cosa. Se volete aprire gli occhi sulla verità di Dio e la volete testimoniare al mondo oltre al vedere e udire Gesù va messo in conto anche qualcos’altro: l’amore. Non basta, infatti, vedere e ascoltare Gesù, bisogna amarlo. Non è un caso che Giovanni ci viene presentato nel quarto vangelo come il discepolo che Gesù amava. Se si desidera realmente vedere e ascoltare Gesù, riconoscendo in lui la pienezza della vita, bisogna imparare a vivere con lui un rapporto di intimità, bisogna fargli spazio nella profondità del cuore, bisogna appassionarsi alla sua causa, bisogna arrivare a condividere i suoi sogni.

Solo in questo modo potremo dire come Giovanni che la nostra testimonianza è vera, e solo in questo modo potremo permettere al Signore di continuare a vivere come il Dio con noi …

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