
Come ogni anno, la liturgia, all’inizio della Settimana Santa, ci fa sostare in silenzio davanti al gesto meraviglioso di Maria che unge i piedi di Gesù con olio profumato.
Come se volesse dirci: c’è qualcosa in quel gesto che non va dimenticato, c’è qualcosa in quel gesto da cui non si può prescindere se si desidera comprendere realmente il mistero della Pasqua di Gesù.
Sostiamo dunque davanti al gesto di Maria e proviamo a decodificarne il senso profondo. Perché Maria si comporta così? Perché compie quel gesto? Probabilmente perché sente il bisogno di esprimere la sua personale gratitudine e ammirazione nei confronti di chi le ha risuscitato il fratello. Maria sa di aver ricevuto un grande dono e per di più inaspettato, perché, siamo sinceri, nessuno più pensava che Lazzaro potesse risorgere. E così decide di esprimere la propria gioia incontenibile con un gesto che fosse altrettanto memorabile. Il gesto che però compie non è solo memorabile: è anche iperbolico e provocatorio. Se Maria di Betania avesse voluto semplicemente dimostrare a Gesù la propria gratitudine io credo che avrebbe scelto un’altra strada.
Ci deve essere dell’altro? Se Maria di Betania compie quel gesto è perché vuole dirci qualcos’altro. Ma che cosa?
Io credo che il suo gesto serva, anzitutto, a richiamare l’attenzione su Gesù, a sottolineare la sua singolarità. Qui, sembra dire la donna, non c’è solo colui che ha risuscitato Lazzaro da morte, qui c’è colui che Dio ha mandato perché tutti gli uomini, strappati alla schiavitù della morte, potessero avere la vita e averla in abbondanza. Non è sbagliato dire che il gesto compiuto da Maria ha un profondo valore rivelativo: il suo personale punto di vista diventa vettore di uno sguardo di fede capace di riconoscere in Gesù e nella sua storia, anche quella dei suoi ultimi giorni, il manifestarsi della verità di Dio per la salvezza del mondo.
E, considerando l’importanza che l’olio rivesta nella scena, potremmo definire il gesto di Maria di Betania come un vero e proprio gesto di consacrazione. In questo Gesù, sembra dirci la donna, nella sua passione e morte e nella sua resurrezione, è Dio stesso che dice di Sé e insieme del destino dell’umanità.
Non è, forse, la stessa prospettiva suggerita dalla lettera agli ebrei quando invita a tenere lo sguardo fisso su Gesù? Sono tanti i fili che si intrecciano in questi tre giorni del triduo, tante le suggestioni che ci arrivano, tanti i punti di vista che si inseguono, voi dovete tenere lo sguardo su Gesù, non dovete distogliere gli occhi da lui, anche quando il dramma rende insopportabile la visione, e lo spettacolo provoca addirittura una sensazione di rigetto.
È lui che dovete contemplare perché i poveri li avrete sempre con voi, ma non lui; e perché in lui, in lui crocifisso e risorto, Dio rivela il suo volto ineffabile.
Secondo. Attraverso questo gesto io credo che la donna voglia dirci: “tutto è compiuto”.
In Gesù, nella sua Pasqua, il progetto di alleanza che impegna dall’inizio dei tempi la mente e il cuore di Dio giunge al suo compimento. Gesù è il principio e la fine, l’alfa e l’omega. Maria tutto questo non lo dice espressamente, ce lo lascia intuire attraverso un segno che porta con sé il carattere dell’abbondanza e della sproporzione. Abbondanza e sproporzione che da sempre connotano la rappresentazione biblica dei tempi messianici.
Il gesto della donna suggerisce l’idea che il tempo del compimento non sia da attendere oltre: in Gesù di Nazareth, logos divenuto carne, e negli eventi ultimi della sua esistenza tale compimento si è reso universalmente disponibile e accessibile così che già da ora chiunque ne può sperimentare gli effetti. Attraverso l’abbondanza di quell’olio puro, prezioso oltre misura e sprecato inspiegabilmente, ci viene detto che solo stando dentro questi eventi potremo accedere già da ora alla pienezza della salvezza di Dio.
Il gesto di Maria di Betania non è, però, solo un indicatore che orienta il nostro sguardo su Gesù, e neanche solo un modo per richiamarci alla dimensione escatologica della sua Pasqua, il gesto di Maria di Betania è anche e soprattutto un atto di amore, un atto di amore tenero, appassionato, coraggioso.
Il merito di Maria, quello per cui sarà ricordata per sempre, è l’aver segnalato, attraverso il suo improbabile gesto, che non può esistere esperienza della fede senza mozione degli affetti, senza mobilitazione del cuore e senza volontà sincera di amore.
E non solo questo. Maria ha anche un altro merito: l’aver affermato che non può esserci esperienza autentica di amore se non c’è gratuità, eccedenza, sproporzione e addirittura follia: questa è l’unica possibile misura dell’amore.
La misura dell’amore è, infatti, il non avere alcuna misura!
La fede è competenza esclusiva di chi è capace di amare oltre ogni misura, oltre ogni possibile valutazione di rischio, oltre ogni ragionevole dubbio. Di chi è capace di amare come Gesù…