
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”
Potrà sorprendervi ma il contesto in cui Gesù pronuncia queste parole non è affatto idilliaco come potrebbe sembrare. L’enigma cui Gesù deve far fronte è, infatti, quello dell’incredulità. Un’incredulità che intorno a lui diventa via via sempre più dilagante e feroce.
Immaginate quale possa essere il suo stato d’animo: si è presentato ai giudei come il buon pastore che attira le pecore a sé, ma quello che qui raccoglie è contestazione, disprezzo e ostilità. Ha appena parlato di sé come il pastore che gode della fiducia delle pecore e a cui le pecore vogliono bene, ma qui davanti a lui c’è chi vuole tirargli le pietre e lo considera un indemoniato.
Come è potuto accadere? Perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce? Perché gli uomini trovandosi di fronte alla via che porta alla vita, finiscono per scegliere la via che porta alla morte? Perché di fronte a uno come Gesù che non si contenta di dire “io sono il pane della vita”, o “io sono il buon pastore”, o “io sono la luce del mondo”, ma lo testimonia attraverso una vita di dedizione che giunge fino al dono della vita, uno dovrebbe dire: “qui non c’è la voce di Dio ma quella del demonio”?
Anche Gesù si interroga sul perché dell’incredulità che incontra. E la soluzione che propone è la più semplice che si possa immaginare: “Mie pecore, dice Gesù, sono quelle che ascoltano la mia voce”. Se uno non crede, dice Gesù, è perché non ha ascoltato la mia voce. Ciò che è veramente discriminante tra fede e incredulità è dunque per Gesù l’ascolto della sua parola.
Ma è proprio così? La nostra esperienza sembrerebbe dire il contrario. Noi sappiamo molto bene, infatti, come spesso il dubbio, l’incertezza, l’incredulità facciano breccia anche nel cuore di chi è discepolo, di chi è vicino a Gesù e di chi la sua parola l’ha ascoltata con disponibilità e sincerità di cuore.
Pensate a quanto si dice proprio nel vangelo di Giovanni a conclusione del capitolo sei quando si racconta di come alcuni discepoli si allontanarono da Gesù – il testo dice: non camminavano più con lui – perché ritenevano le sue parole inaccettabili. Pensate ai “Dodici” che, pur avendo a lungo ascoltato la parola del loro maestro, si trovano a dubitare di lui nel momento più deciso della sua vita, quello dell’arresto e della croce.
E pensate a noi. Noi non possiamo forse a ragione dire di essere degli ascoltatori della parola: la ascoltiamo quando celebriamo Messa, la leggiamo nei nostri momenti di meditazione, la studiamo nei nostri momenti di formazione, la ripetiamo nelle nostre preghiere, eppure chi di noi può dire di non portare dentro di sé un qualche residuo di incredulità?
Se quel che dice Gesù è vero, e cioè che l’ascolto è così decisivo, come si spiega la nostra incredulità? In un modo molto semplice: non ogni ascolto è decisivo per la fede.
L’uomo conosce molte tipologie di ascolto e non tutte sono idonee a generare e ad alimentare la fede.
Facciamone un elenco. C’è l’ascolto del ricercatore: è l’ascolto di chi immagazzina dati al fine di elaborarli, di chi raccoglie notizie al fine di ricomporre una storia che possa essere verosimile. A volte, dobbiamo riconoscerlo, è questo il modo con cui anche noi ascoltiamo la parola di Gesù: siamo come dei ricercatori che studiano e indagano con applicazione quasi ossessiva, ma, dice Gesù, questo ascolto non porta alla fede.
C’è poi l’ascolto di chi è alla ricerca di pareri e di opinioni diverse capaci di assicurargli una visione delle cose la più obiettiva possibile. È l’ascolto che si presta al consulente: un ascolto senza impegno e senza vincoli. Nasce dal desiderio di avere a disposizione punti di vista diversi da poter utilizzare o meno a secondo del contesto e della circostanza. Ora, mi chiedo non è così che talvolta noi trattiamo la parola di Dio? Come un punto di vista tra i tanti, un parere da affiancare ad altri, cui concedere credito o meno a secondo dell’utilità del momento o a secondo che sia o no in sintonia con il nostro modo di pensare. Un ascolto così, però, dice Gesù, al pari di quello del ricercatore, non è in grado di sostenere nessuna fede, tantomeno di generarla.
E l’elenco degli ascolti che al pari di questi non hanno nulla a che vedere con l’ascolto della fede, potrebbe andare avanti.
C’è l’ascolto del contestatore che indaga con scrupolo la parola dell’altro per trovarvi i difetti e punti deboli; c’è l’ascolto del curioso che ascolta per il gusto di sapere ogni cosa senza che nulla di fatto, poi, gli interessi veramente. Quello del curioso è un ascolto fine a sé stesso, e come tale improduttivo. C’è, ancora, l’ascolto del soldato o del suddito che ascolta per obbedire senza domandarsi mai il senso di ciò che gli viene richiesto. Nessuno di questi ascolti, però, è in grado di attivare la fede e mettere al riparo dall’incredulità.
L’ascolto che genera la fede, dice Gesù, l’unico che è discriminante per la fede, è quello delle pecore che ascoltano il loro pastore perché ne riconoscono la voce e la possono riconoscere perché egli le ha chiamate per nome.
L’ascolto diventa espressione della fede solo quando si edifica sull’esperienza del sentirsi amati, chiamati e voluti da qualcun altro e solo quando è in grado di riconoscere in colui che parla, ancor prima di averne ascoltate le parole, una promessa di vita cui consegnare la propria fiducia.
I veri discepoli, qui si dice, sono coloro che si fidano di Gesù non perché le sue parole siano irresistibili, ma perché si sentono amati da lui, – questa sì esperienza irresistibile – , perché sono sue pecore: è questa esperienza, di appartenenza e di identificazione, che dà loro la forza di scommettere sulla sua parola.
Parlavo prima del finale del capitolo sesto di Giovanni. Anche ai Dodici Gesù chiese: “volete andarvene anche voi”, quel giorno in cui molti dei suoi discepoli lo abbandonarono? Sapete cosa rispose Pietro? “Da chi andremo, Signore, tu solo hai parola di vita eterna…”
Pensate che i Dodici ne sapessero più degli altri? Pensate che avessero capito ciò che gli altri non avevano capito? Pensate che per loro fossero meno inaccettabili le parole di Gesù? Assolutamente no.
A differenza degli altri, però, si erano probabilmente lasciati amare da Gesù e questo loro sentirsi amati bastò per capire che senza Gesù non ci sarebbe stata per loro nessun futuro…