
La miglior attestazione della regalità di Gesù che noi possediamo è, senza dubbio, quella del titulus crucis.
Che cos’è il titulus crucis? È l’insegna che fu posta sopra la croce di Gesù così che i passanti potessero identificarlo. E che cosa vi trovate scritto? Le seguenti parole: “Questi è Gesù il Nazareno, il re dei giudei”.
E pensate che Il Vangelo di Giovanni ci dice che queste parole furono scritte addirittura in tre lingue, in ebraico, in greco e in latino, così che tutti potessero leggerle.
C’è una domanda, però, cui dobbiamo rispondere: questo titulus crucis porta con sé parole che vengono dagli uomini o da Dio? La sua affissione sul legno della croce è volontà degli uomini o fa parte di un disegno divino?
Materialmente parlando, non c’è dubbio alcuno: il titulus crucis viene dagli uomini, sono gli uomini che l’hanno scritto e non l’hanno fatto perché credevano in Gesù o perché erano convinti che Gesù fosse il re dei Giudei, ma al contrario per sbeffeggiarlo, per prendersi gioco di lui. Come si poteva pensare, infatti, che un crocifisso potesse essere il re dei giudei.
Il titulus crucis era, nell’intenzione di chi l’ha scritto, lo smascheramento di una menzogna: la menzogna di un uomo che sosteneva di essere il figlio di Dio, il Messia, il re d’Israele, ma che in realtà era solo un impostore. Come a dire: ecco dove vanno a finire i sogni di gloria di Gesù di Nazareth che diceva di essere re d’Israele: appesi su una croce.
Dunque, materialmente il titulus crucis era opera di uomini, ma siamo sicuri che Dio non c’entri proprio niente? E se Dio, come spesso accade, si fosse servito degli uomini per rivelare qualcosa di sé?
Immagino vi sia capitato più di una volta di constatare come dietro le cose che accadono ci sia, spesso, qualcosa di provvidenziale, qualcosa che fa pensare ad un disegno divino…
Il mondo ti cada addosso, le cose vanno esattamente all’opposto di come dovrebbero, ti sembra di girare a vuoto, ma poi, alla fine, tutto si ricompone, e l’impressione che hai è che le esperienze vissute, anche quelle negative, ti abbiano aiutato a crescere e ti abbiano, misteriosamente, portato proprio lì dove dovevi arrivare.
Io credo che qui sia successo qualcosa di simile.
Dio si è servito del titulus crucis che, nell’intenzione di chi l’ha scritto, è segno di oltraggio e di derisione, per affermare in modo inequivocabile che egli è re, ma re di una regalità altra rispetto a quella che noi si ha in mente. Egli la sua la sua signoria regale non la esercita scendendo dalla croce, ma donando la vita. Il modo che egli ha di esercitare il suo dominio non è quello di chi medita vendetta nei confronti di coloro che l’hanno crocifisso, ma quello di chi, anche nel momento buio della morte, sa dire parola di consolazione e di speranza a chi muore con lui: “oggi sarai con me in paradiso …”
È a partire da questa regalità inedita, non convenzionale, che si impone per ogni cristiano l’imperativo della carità. La carità è il modo con cui noi continuiamo ad esercitare nel tempo la regalità di Gesù, perché il Regno di Dio prenda forma e consistenza nella storia degli uomini.
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