
Di solito, quando ci si trova di fronte a questa pagina di Vangelo – e capita diverse volte durante l’anno liturgico – l’attenzione va tutta alla scena finale, quella iconica che racconta dell’ingresso in Gerusalemme, dove Gesù viene acclamato messia e re di Israele. Difficilmente ci si concentra, invece, sugli eventi che precedono, sui preparativi, su tutta quella trama fitta di interazioni che prepara da remoto l’evento finale.
Il motivo? Questi eventi non valgono per stessi: il loro valore è relativo alla funzione che svolgono nell’allestimento della scena finale. Non sono importanti per se stessi, sono importanti perché preparano ciò che viene dopo.
Ora, che questi eventi abbiano la funzione di preparare la scena simbolica dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, nessuno può metterlo in discussione, ma, mi chiedo, questo deve autorizzarci a pensare che essi non abbiano valore e che non abbiano un messaggio importante da offrire.
Certamente l’evangelista non la pensa così e la prova che lo attesta è alla portata di tutti. Prendete ad esempio lo spazio che questi preliminari occupano nell’insieme della narrazione: uno spazio inspiegabilmente ampio che non avrebbe alcuna giustificazione se l’evangelista non ritenesse questi preliminari decisamente importanti.
E la quantità di spazio non è l’unico indizio. Se avete ascoltato con attenzione il brano evangelico immagino vi abbia colpito la minuzia, la cura e la ricchezza di particolari messa in campo dall’evangelista nella descrizione degli avvenimenti che precedono l’ingresso a Gerusalemme.
Una cura e una minuzia che, considerata la concisione e la laconicità che gli evangelisti solitamente riservano ai particolari descrittivi, nei vangeli, è difficile trovare persino nelle descrizioni di eventi importanti, figuriamoci in quelle di eventi di secondo piano.
Il narratore registra tutto: registra i movimenti, registra i luoghi, registra le parole, riportando persino i dialoghi.
Ora, credete davvero che Luca, da abile scrittore qual è, avrebbe impiegato tutta questa abbondanza di particolari, quando avrebbe potuto liquidare il tutto approntando una breve e generica introduzione, se non avesse ritenuto questi eventi degni di nota tanto quanto l’ingresso nella città di Gerusalemme?
Ora la domanda è: ma perché questi preliminari sono così importanti?
Una prima risposta potrebbe essere questa: sono importanti per lo stesso motivo per cui anche noi riconosciamo che nella nostra vita c’è una trama nascosta e quotidiana di eventi, di interazioni e di circostanze che nessuno ricorda e capiamo che questa trama, che tesse il cammino quotidiano della vita, non è meno importante di tutti quei momenti memorabili e isolati che invece portiamo stampati nella nostra memoria.
Il cammino non è la meta, ma sa essere importante e straordinario quanto il punto di approdo al quale conduce. E non solo perché senza cammino non arriveremmo a destinazione, ma soprattutto perché il cammino ci fortifica, ci fa crescere, consolida la nostra volontà, affina i nostri sensi, ci restituisce il valore di noi stessi e delle cose che ci stanno attorno.
I preparativi di cui oggi ci parla il vangelo sono questa trama: non sono solo un’espediente narrativo funzionale ad allestire la scena dell’ingresso di Gesù nella città di Davide, sono momenti di vita, di scelte, di obbedienza, dentro cui matura la fede e ci si interroga sul senso di ciò che accade.
Non credo, però, che questo sia l’unico motivo a giustificare l’importanza di questi eventi preliminari: io credo che questi eventi preliminari abbiano un messaggio importante da offrire. Un messaggio così importante da costituire la chiave di lettura necessaria senza la quale la decifrazione del gesto di Gesù che si lascia acclamare come re e messia, diventa improbabile.
Qual è questo messaggio? È riassumibile in un’espressione che in questi versetti sentiamo ripetere più volte, quasi fosse un ritornello a scandire il ritmo degli eventi: “il maestro ne ha bisogno!”. E difatti è così: l’immagine di Gesù che ci viene presentata è quella di un uomo bisognoso, di un uomo che è costretto a dipendere da altri.
Il che è singolare se tenete conto che questi preparativi preludono all’ingresso regale di Gesù a Gerusalemme dove verrà acclamato trionfalmente da tutti come il re che viene. Un re non ha bisogno: questo almeno è ciò che suggerisce il senso comune. Gli altri hanno bisogno di lui, ma lui non ha bisogno di nessuno…
Come la mettiamo, dunque? Come si concilia l’immagine del re che dispone di ogni cosa, esercitando il suo potere smisurato, con l’immagine del maestro che ha bisogno?
E se l’evangelista Luca già da qui, già dai preliminari, ci stesse dicendo che la regalità di Gesù noi la dobbiamo pensare usando canoni diversi rispetto a quelli che usiamo per pensare la regalità dei potenti di questo mondo? E se ci stesse dicendo che “l’avere bisogno” non lo dobbiamo intendere come sintomo di una debolezza che contraddice il potere regale, ma piuttosto come volontà di condivisione, come volontà di relazione e di corresponsabilità. C’è un progetto che si deve compiere, c’è un regno che deve costruito e ad esso Gesù si è consegnato anima e corpo, ma questo regno Gesù lo vuole costruire non senza di noi. Questo regno, il regno di Dio, non è l’esecuzione di una disposizione che viene dall’alto e che l’uomo può solo subire, ma la condivisione di un progetto comune, un percorso in cui Dio e l’uomo camminano insieme, un invita alla corresponsabilità nel quale tutti siamo invitati a scoprirci bisognosi gli uni degli altri.
Questo è il regno che Gesù è venuto ad inaugurare: un regno in cui Dio ha bisogno dell’uomo e non perché Egli necessiti di qualcosa che noi abbiamo, ma perché il regno di Dio è il regno dell’amore e l’amore esige la relazione sempre. L’amore non può essere imposto, l’amore può essere solo donato, accolto e restituito…
Sì, pensandoci bene, c’è qualcosa di cui Dio ha bisogno e che noi abbiamo: noi stessi!