
Si può toccare e guarire qualcuno anche con lo sguardo se si ha lo sguardo di Gesù. Si può toccare e guarire qualcuno anche con il pensiero se si ha il pensiero di Gesù. E qual è il pensiero di Gesù? Qual è lo sguardo di Gesù?
Lo sguardo e il pensiero di Gesù sono la misericordia. Gesù vede la folla intorno a sé e per essa prova misericordia.
Il verbo greco utilizzato è un verbo importante perché riproduce fedelmente il termine con cui la tradizione biblica nomina l’amore di Dio dicendoci che quell’amore è amore materno, amore viscerale, amore di appartenenza. Anche per Gesù è così: guarda la folla e sente che gli appartiene, sente che c’è un legame e che questo legame è radicato nelle sue viscere. Il suo è amore di compassione, e non lo è perché provi pietà per loro, ma perché è disposto a patire con loro: Gesù con-patisce…
Che cosa vuol dire? Che le fatiche delle persone che gli stanno attorno non gli sono indifferenti, le loro stanchezze, le loro paure, le loro domande, le loro sofferenze non gli scivolano addosso. Gesù le sente su di sé, se le sente addosso. Si lascia colpire e ferire da esse come se fosse lui ad incassare il colpo. Ed è da qui, da questa compassione, da questa sua capacità di lasciarsi colpire e ferire, che nasce il suo desiderio di prendersi cura, la sua incessante premura, la sua determinazione nella solidarietà. È da qui che scaturisce il suo potere di guarire.
Potere che noi non abbiamo, perché non siamo come Gesù? Non abbiamo lo stesso sguardo compassionevole che ha Gesù. Non riusciamo, chiusi come siamo nel nostro guscio di indifferenza ed egoismo, ad intuire che la vita del nostro fratello è la nostra vita e che il suo problema è il nostro problema; noi non riusciamo, presi come siamo dall’urgenza del nostro bisogno, a renderci conto del bisogno degli altri.
O se ce ne rendiamo conto, ce ne rendiamo conto quando il bisogno è ormai così evidente e conclamato da non poter essere più ignorato. Ce ne rendiamo conto quando il bisogno diventa emergenza su scala mondiale e la sua ricaduta intacca i nostri interessi. Ce ne rendiamo conto quando l’impatto che esso produce diventa così tragico da svegliare almeno per un attimo l’imperturbabilità delle nostre coscienze. Il vangelo oggi ci presenta un Gesù che prova compassione, un Gesù che si preoccupa, un Gesù che si fa solidale, ma non c’è nessun’emergenza globale da fronteggiare, non c’è nessun dramma umano per cui provare pietà: la gente ha fame, certo, ma non c’è nessuno che muore di fame, e non c’è nessuno che non possa, volendolo, tornarsene a casa per provvedere da sé al proprio sostentamento. Il bisogno di cui qui si parla non è un bisogno di quelli che potremmo definire di vitale importanza, è un bisogno lieve, di quelli che spesso passano inosservati, bisogni di cui nessuno si occupa, e che le persone normalmente devono affrontare in solitudine.
Ma è di questi bisogni che Gesù si occupa, dice il vangelo, invitandoci a fare altrettanto. Voi, ci dice, vi accorgete dei bisogni dei vostri fratelli solo quando questi bisogni sono ormai improrogabili, vi preoccupate dei bisogni di chi vi sta accanto solo quando vi sbattono addosso e ormai non c’è più niente da fare. Ma qui non c’è compassione!
La compassione, quando scaturisce da uno sguardo misericordioso come quello di Gesù, arriva dovunque a stanare anche ciò che nascosto e soprattutto arriva prima, anticipa, non aspetta che sia troppo tardi, preferisce intervenire prima che il bisogno diventi irrecuperabile perché a stargli a cuore alla fine è la vita dell’uomo nella sua interezza, non la risoluzione dell’emergenza.
La compassione arriva dovunque e prima e, e per di più, non si stanca, non si perde col tempo, non si dissolve cammin facendo, come accade a noi che, a lungo andare, rischiamo di abituarci alle persone e ai loro bisogni.
Signore, aiutaci a guardare il mondo con il tuo sguardo di misericordia, aiutaci a guardare le persone che ci stanno accanto con i tuoi occhi pieni di compassione. Aiutaci a vedere in loro dei fratelli, delle persone da amare e di cui prendersi cura.
E aiutaci anche rimboccarci le maniche perché lo sguardo da solo non basta. È importante perché è ciò che fa la differenza tra un’attenzione posta unicamente sul bisogno e un’attenzione posta, invece, sull’uomo, ma non basta. Perché ci sia vera compassione bisogna che ci si rimbocchi le maniche, bisogna che lo sguardo diventi azione, bisogna che la solidarietà diventi condivisione. C’è un pane che deve essere spezzato, che deve essere donato, che deve essere distribuito e per questo tu chiami noi, come un tempo hai chiamato i tuoi discepoli. C’è una vita che va difesa, protetta, incoraggiata, sostenuta e per questo, Signore, tu chiami noi, come un tempo hai chiamato i tuoi discepoli, c’è un’umanità che va liberata, consolata, guidata, riscattata e per questo Tu, Signore, chiami noi, come un tempo hai chiamato i tuoi discepoli.
Ne saremo all’altezza?