Continuità e discontinuità

Omelia del 4 settembre 2022 (Mt 4, 12-17)

Continuità e discontinuità

“Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino”. Sono queste le parole con cui Gesù dà il via alla sua missione pubblica. Ma voi che un po’ lo conoscete il vangelo, sapete che queste sono anche le parole con cui Giovanni il Battista, nel deserto, ammoniva le folle perché si convertissero e non incorressero nel giudizio di Dio, ormai alle porte.

Le stesse identiche parole sulla bocca di Gesù e sulla bocca di Giovanni il Battista. Come si spiega? Si spiega dicendo che c’è una profonda continuità tra Gesù e Giovanni!

Gesù pensa a sé stesso come colui che dovrà porre rimedio all’uscita di scena di Giovanni, continuandone la predicazione. Come a dire: qualcuno deve pur raccogliere l’eredità del Battista … Le sue parole profetiche di denuncia contro la corruzione e contro l’ingiustizia devono pur continuare a risuonare in terra di Israele e così il suo appello incessante alla conversione e alla purificazione della fede. 

Ecco, Gesù è colui che si assume la responsabilità di portare avanti l’opera del battista, perché le sue parole, i suoi appelli, le sue sollecitazioni non vengano a mancare.

Ogni tempo, infatti, ogni epoca, ogni stagione ha bisogno dei suoi profeti. 

Di persone che non abbiano paura di dire la verità, di persone capaci di condannare apertamente sopraffazione e ingiustizia senza scendere a compromessi, di persone capaci di leggere con lucidità il presente e di prevedere con altrettanta lucidità l’approdo di scelte poco lungimiranti e di corto respiro, di persone che non cerchino il consenso a tutti costi e non assecondino servilmente i capricci della folla o del potente di turno, pronti se necessario a pagare con la loro stessa vita. 

Persone come Giovanni il Battista, come i grandi profeti della tradizione biblica, Isaia, Geremia, Ezechiele, sono persone scomode, ma quanto mai necessarie, perché in grado di smascherare le false e illusorie sicurezze su cui gli uomini ingenuamente, anche oggi, continuano a costruire il loro futuro. 

Capite bene il motivo per cui Gesù ha sentito il bisogno e il dovere di continuare l’opera di Giovanni: una voce come quella di Giovanni è preziosa e non può venire a mancare, non può essere messa sotto silenzio, come vorrebbero gli uomini e le donne di Israele di cui ci parla Isaia: “Essi dicono ai veggenti: “Non abbiate visioni” e ai profeti: “Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni …”

Mi chiedo: ci sono profeti nel nostro tempo? In un mondo pieno di imbonitori e di manipolatori, di strilloni narcisisti e di venditori compiacenti, ci sono ancora voci capaci di dire la verità, di contrastare la menzogna e svegliare le coscienze? E se ci sono, quanto siamo disposti ad ascoltarle, quanto siamo disposti a prenderle in considerazione?

Gesù sente il bisogno di continuare l’opera del battista perché la sua voce profetica non venga meno! Ma, e questa è la cosa bizzarra, quel che Gesù fa per continuare l’opera del battista, le scelte per cui opta, le strategie che adotta, sono tutto il contrario di quel che abbiamo visto fare a Giovanni. Potremmo dirla in questi termini un po’ paradossali: il modo con cui Gesù intende continuare l’opera di Giovanni il Battista è nel segno della discontinuità. Nella continuità, c’è una discontinuità …

Giovanni opera nel deserto, lontano dal cuore pulsante della vita degli israeliti, in un contesto di privazione, di essenzialità, di silenzio, separato; Gesù sceglie invece come sua “aula” di predicazione la città. E non una città qualsiasi, ma Cafarnao, sulla riva del lago: una città che è incrocio di rotte carovaniere, luogo di passaggio e di commerci, posto in una regione, la Galilea, che è terra di confine, luogo di meticciato dove da sempre esistono e convivono popoli e razze diverse. 

Con Gesù la parola non risuona più nel deserto, ma nella città, nel luogo dove gli uomini vivono.

E questo per dire a tutti che il regno di Dio non va pensato come fuga dal mondo, ma come immersione in esso, per dire che il regno di Dio non va pensato solo come giudizio e condanna da evitare, ma anche come benedizione e dono da accogliere, per dire a tutti che il regno di Dio è l’alleanza di Dio con gli uomini, il suo abitare la loro terra, incurante delle sue contaminazioni e dell’oscurità che la copre.

Se è vero che noi oggi abbiamo bisogno di profeti, è ancor più vero che abbiamo bisogno di uomini e donne che riavvicinino alla buona notizia del Vangelo, alla buona notizia di un Dio che abita la città degli uomini come loro compagno di viaggio. Certo abbiamo bisogno di persone che scuotano le nostre coscienze, ma ancor di più abbiamo bisogno di persone che aprano le nostre menti e i nostri cuori, perché sappiamo sorprenderci ancora di fronte alla promessa inscritta nel paradosso del Dio con noi.

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