
Immaginate di trovarvi tra le mani una partitura musicale. L’orchestra incomincia a suonare e quel che ne esce è una musica struggente e bellissima, un’armonia perfetta di melodie sapientemente intrecciate. Fino a che l’incanto si rompe per via di un suono maldestro. Andate a controllare nella partitura e vi accorgete che c’è una nota stonata, una nota che non dovrebbe esserci, una nota sbagliata. Così è il vangelo che oggi abbiamo ascoltato: è una partitura bellissima che ha al proprio interno una nota stonata. Una nota stonata che è facile riconoscere perché appare come un corpo estraneo, come una dissonanza maldestra che fa suonare male l’intera sequenza musicale.
Ebbene, come suona questa nota stonata? Suona con le parole che insinuano il dubbio nella fede dei discepoli: “ed essi, però, dubitavano…”
Ora, intendiamoci, questa nota non è stonata perché insinua il dubbio che la nostra fede possa essere fragile, incerta e dubbiosa. La nostra fede è fragile, incerta e dubbiosa: non è difficile rendersene conto. Basta che le cose vadano diversamente da come le vorremmo e noi che cosa facciamo? Mettiamo in discussione l’esistenza di Dio. Basta che accada a noi o qualcuno che ci sta a cuore qualcosa di male e la nostra credenza nell’amore e nella bontà di Dio subito viene meno. Basta che uno scienziato qualunque proponga una nuova teoria per spiegare l’origine del mondo e la prima cosa che ci sembra ragionevole fare è quella di mettere in discussione le verità e la plausibilità della nostra fede.
La nostra fede è dubbiosa! Sottolineare questa verità non può essere una nota stonata. La notazione del vangelo è una nota stonata perché nel contesto in cui si trova pare un corpo estraneo.
Il contesto è, infatti, un contesto di fede e di missione. Gesù convoca i discepoli e appare loro. Al vederlo essi si prostrano a terra. Un gesto che esprime la loro fede: una fede vera, autentica, che ha conosciuto il dramma dell’abbandono e dell’incredulità, ma ha saputo risollevarsi e ritrovare le ragioni di un nuovo slancio. Una fede corroborata dal dono dello Spirito e capace finalmente di uno sguardo sul mondo che rifletta il modo di guardare stesso di Gesù.
Gesù stesso ne è consapevole tant’è che li invia nel mondo perché siano suoi testimoni e perché facciano discepoli tutti i popoli della terra.
Ora che bisogno c’era, mi chiedo, in un contesto come questo, che esalta la fede riconquistata dei discepoli, di mettere un inciso che sottolineasse il loro “dubitare” ?
Non rischia questo riferimento di mortificare la fede dei discepoli e l’autorevolezza della loro missione? Chi crederà loro se la loro fede è una fede imperfetta? Come potranno degnamente svolgere il compito di evangelizzazione cui il Signore li chiama se la loro fede è esitante?
È la domanda che ci facciamo anche noi quando ci viene detto che il Signore chiama anche noi oggi ad essere suoi testimoni e portatori di Vangelo.
Ci diciamo: come posso io che sono un povero credente, io che sono un credente esitante, io che faccio fatica a vivere sulla lunghezza d’onda del vangelo, io che talvolta non capisco dove il Signore voglia condurmi, ad essere un testimone credibile del Signore risorto?
Noi infatti partiamo dal presupposto che per poter essere missionari bisogna essere dei perfetti credenti e che per essere dei perfetti credenti bisogna avere una fede priva di dubbi e di incertezze. Ma è proprio così?
E se l’evangelista Matteo con il suo inciso, con la sua nota stonata, avesse voluto dirci che non è così? che questo presupposto per il quale sempre ci sentiamo inadeguati di fronte all’invito missionario di Gesù è sbagliato?
Con quel suo “ed essi dubitavano” Matteo ci sta dicendo che non è affatto vero che per essere evangelizzatori bisogna avere una fede senza dubbi anche perché se così fosse nessuno potrebbe degnamente assumersi la responsabilità di testimoniare il vangelo.
E forse ci sta dicendo anche che una fede senza dubbi non esiste. Per via della nostra fragilità, certo, ma non solo. Anche per ciò che la fede è. Se essa, infatti fosse pura razionalità avremmo ragione a pretendere idee chiare e distinte che non ammettono né confusione né incertezza, ma la fede non è razionalità pura. La fede è relazione e dentro l’esperienza della relazione il dubbio, per quanto possa suonarvi strano, gioca una parte importante.
Il dubbio, infatti, ciò che propizia l’affidamento, e ciò che ci pone di fronte al mistero dell’alto con la consapevolezza che esso è inesauribile e va continuamente esplorato, e ciò che ci mette di fronte alla necessità di un sempre nuovo slancio perché la relazione non si dissolva in un’abitudine mortifera.
Tutt’altro che una nota stonata, quindi, dissonante forse, ma non stonata!