
Quando ci troviamo di fronte ad espressioni come “se qualcuno ti percuote la guancia, tu porgigli anche l’altra”, è chiaro che ci troviamo di fronte a delle iperboli. Ma questo che cosa vuol dire? Che siamo autorizzati a non prenderle sul serio, perché sono delle iperboli? Che ci è lecito addomesticarle fino al punto di ridurne del tutto la forza eversiva? Che dobbiamo decontaminarle del loro carattere iperbolico, al fine di riportarle nell’alveo di ciò che è “ordinario”?
Lo dico perché ho l’impressione che spesso sia esattamente questo il modo con cui ci poniamo di fronte al linguaggio iperbolico di Gesù.
Cerchiamo di normalizzarlo, di renderlo il più verosimile possibile e non ci accorgiamo che così facendo non solo lo svuotiamo della sua forza persuasiva, ma anche della sua verità.
Se è vero, infatti, che il linguaggio iperbolico si avvale di immagini forzate e, talvolta, anche alterate, è altrettanto vero che tali immagini non servono ad ingannare o a depistare l’ascoltatore, ma a dare consistenza a ciò che si vuole esprimere. La verità è nell’iperbole, non fuori di essa!
Pertanto, se vogliamo comprendere il senso più autentico delle parole di Gesù che ci invitano a porgere l’altra guancia, ciò che dobbiamo fare è rimanere dentro l’”assurdo” o l’”improbabile” dell’immagine iperbolica, non uscire da essa, come invece, spesso facciamo.
Pensate, infatti, a come solitamente viene interpretato questo imperativo di Gesù. Lo si interpreta come un invito a non rispondere alla violenza con la violenza. Un invito ad astenersi dall’alimentare la violenza tramite il meccanismo perverso della vendetta.
Porgere l’altra guancia, per noi, significa questo: a fronte di un’offesa ricevuta o di un torto subito non pagare usando la stessa moneta del tuo oppressore, accetta l’ingiustizia che è stata perpetrata contro di te con rassegnazione, senza reagire. China la testa, porta pazienza, non cedere alla tentazione della rappresaglia.
Ma è proprio questo ciò che Gesù vuole dire quando chiede ai suoi di porgere l’altra guancia?
Io credo di no e le ragioni sono due.
La prima: la passività inerme di fronte all’ingiustizia, la remissività colpevole e supine di fronte alla prepotenza degli arroganti e dei disonesti non fanno parte dell’insegnamento di Gesù. Gesù non ha mai chiesto ai suoi discepoli di chinare la testa in segno di resa, non ha mai chiesto loro di tollerare la malvagità, nemmeno
Non lo ha chiesto a loro e non l’ha fatto lui: la croce, che tanto somiglia al porgere l’altra guancia di cui ci parla oggi il vangelo, non ha nulla a che vedere con la pratica della non violenza intesa come semplice astensione dalla vendetta. Noi lo abbiamo pensato e questo pensiero, purtroppo ci ha indotto a chiudere gli occhi davanti ad atrocità indicibili, a tollerare nefandezze di ogni tipo e persino a giustificare l’ingiustizia, perché quando accetti l’ingiustizia senza nemmeno provare ad affrontarla è come se tu la giustificassi. Questo non è lo stile di Dio, non è lo stile di Gesù.
E poi, se Gesù avesse voluto con le sue parole invitare ad astenersi dalla vendetta, non credete che sarebbe bastato che dicesse: “Se qualcuno ti percuote la guancia” tu non reagire, vattene via, porta pazienza.
Perché aggiungere: “porgi l’altra guancia”? Non è un di più?
Non è un’esagerazione inutile?
E arriviamo alla seconda ragione per cui interpretare le parole di Gesù come un generico invito ad astenersi dal reagire sarebbe come tradire il loro significato più profondo.
La ragione è questa: una generalizzata astensione dalla vendetta, contrariamente a quanto spesso si pensa, non è sufficiente a scardinare il meccanismo perverso della ritorsione e della rivalsa.
Per un motivo molto semplice: che l’astensione dalla vendetta e l’accettazione supina dell’ingiustizia possono essere anch’esse una forma di ritorsione. Una ritorsione nascosta, invisibile, paradossale, ma tutt’altro che indolore.
Accettare di subire la violenza senza reagire significa caricare sull’altro il peso di un debito che permane nel tempo e che prima o poi dovrà pagare: non a noi, magari, ma alla sua coscienza, di sicuro.
Ecco perché, dice Gesù, è necessario il “porgere l’altra guancia”.
Dove porgere l’altra guancia qui non è un modo per sottolineare quanto radicale debba essere l’astensione dalla violenza, ma, al contrario, il modo per dire che se si vuole realmente interrompere la spirale della violenza l’astensione non basta.
Perché accada bisogna che la violenza sia riconosciuta e assunta da chi la riceve in modo che chi l’ha commessa venga una volta per tutte sottratto dalla spirale mortifera della colpa.
È questo che ha fatto Gesù quando di fronte alla folla che inneggia alla crocifissione dice: loro non c’entrano niente, se sono qui è perché sono io ad offrirmi…
Voi non avete nessuna colpa, o meglio la vostra colpa è stata riscattata: non c’è più nessun debito da pagare. Potete ricominciare da capo la vostra vita.
Questo vuol dire porgere l’altra guancia: lasciare che sia il perdono, lasciare che sia l’amore a prendere in carico l’odio e l’ingiustizia. Solo passando da questa strettoia si può sperare in un futuro diverso e più umano.