Il diritto di essere delusi …

Omelia del 30 ottobre (Mt 22, 1-14)

Il diritto di essere delusi …

È terribile la sensazione che si prova quando si rimane delusi. 

Credo che ciascuno di noi lo possa testimoniare perché più o meno tutti nella nostra vita abbiamo fatto esperienza della delusione. 

Sarà capitato anche a voi, infatti, di avere in cuore un grande desiderio e di rendervi conto alla fine di non poter ottenere quello che avete tanto desiderato… 

Sarà certamente capitato anche a voi di avere un sogno da realizzare, un sogno per il quale si è disposti ad investire tempo, risorse e passione, e scoprire, poi, alla fine, che questo sogno altro non è che un’utopia, qualcosa di irrealizzabile.

Sarà capitato anche a voi, immagino, di porre la vostra fiducia in qualcuno e scoprire poi che la persona alla quale vi siete consegnati è del tutto inaffidabile. 

Tutti, in un modo nell’altro, abbiamo fatto esperienza della delusione e tutti, sappiamo quanta sofferenza, quanta amarezza e quanta rabbia essa porti con sé. 

Per questo ci è facile riconoscerci nello sconcerto e nella collera con cui il re della parabola evangelica reagisce all’affronto che viene perpetrato contro di lui da coloro che rifiutano il suo invito a nozze. 

Anche lui si trova di fronte all’esperienza di una delusione cocente. Era suo desiderio allestire un banchetto per le nozze del figlio a celebrazione di un momento che avrebbe dovuto essere memorabile, ma si trova a fare i conti con   l’insensibilità e la slealtà dei suoi luogotenenti. Come avrebbe potuto non provare collera?

Impegna soldi e ricchezze per offrire ai suoi sudditi una festa principesca e i suoi sudditi, anziché mostrargli riconoscenza per la generosa offerta, lo ripagano con l’insofferenza e il disprezzo. Come avrebbe potuto non lasciarsi prendere dal disappunto?

Fossimo stati al suo posto probabilmente anche noi ci saremmo comportati allo stesso modo, probabilmente anche noi ci saremmo lasciati prendere dalla collera, anche noi non saremmo riusciti a trattenere il nostro disappunto.

Il problema è che il re della parabola non si limita alla rabbia e al disappunto, si spinge molto oltre e la sua indignazione si trasforma presto in furia omicida. 

“Allora il re si indignò, dice il testo della parabola, mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città”. 

E del pover’uomo resosi colpevole di non aver indossato il vestito idoneo dice: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre dove sarà pianto e stridore di denti”. 

La delusione è un’esperienza terribile, lo sappiamo, ed è comprensibile che susciti amarezza, rabbia e disappunto in chi la vive, ma non può per nessun motivo giustificare una reazione così efferata. 

È eccessiva, è fuori luogo, soprattutto se è da attribuirsi ad una figura, quella del re, che la parabola associa più o meno indirettamente.

Certo anche Dio ha il diritto di essere deluso e anche Dio ha il diritto di reagire alla delusione con il disappunto e la collera: ci sono pagine bellissime nella narrazione biblica che ci parlano della delusione di Dio di fronte all’infedeltà di Israele e all’ostinata perversione del cuore dei figli di Adamo. 

E ci sono pagine altrettanto belle che ci fanno toccare con mano la rabbia e il disappunto di Dio. 

Nulla però che ci faccia pensare ad una sua arbitraria e incontrollata vendetta. 

Non sarebbe Dio! Perlomeno il Dio della rivelazione biblica perché il Dio della rivelazione biblica non è il Dio che propizia la morte, ma quello che la elimina, non è quello che induce il pianto, ma quello che asciuga le lacrime da ogni volto, non è il Dio che gode nell’infliggere castighi, ma quello che si compiace del perdono che riapre alla speranza, non è il Dio che mortifica la libertà, ma quello che la rende possibile.

Il Dio della rivelazione biblica è il Dio dei banchetti, è il Dio delle grasse vivande e dei vini eccellenti che invita alla comunione e alla festa.

Ora come si concilia il volto di questo Dio con il volto del re della parabola?

Non si concilia, semplicemente. Per questo in molti sono disposti a scommettere che il re della parabola non sia affatto da associare a Dio nell’intenzione originaria di Gesù?

Io sono più propenso, invece, a pensare che anche una reazione così smodata, se interpretata come un richiamo, possa dirci qualcosa di Dio. Che cosa?

Per prima cosa quel che ci dice è che per Dio l’alleanza con noi non è un passatempo o un diversivo, il cui esito lascia indifferenti. L’alleanza con noi è per lui una questione decisiva dove in gioco è la sua stessa vita. 

La reazione eccessiva del re della parabola dice di un attaccamento, di un coinvolgimento viscerale. 

Dice di quanto Egli ci voglia bene e di quanto il nostro rifiuto lo faccia soffrire. Dice, ancora, del bisogno che Egli ha di noi, del bisogno che egli ha di riempire la sala, di condividere con noi il suo dono, di elargire benedizione, di essere riconosciuto finalmente come il Dio della vita e dell’alleanza. 

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