
Oggi voglio parlarvi di un’arte che abbiamo perso. Un’arte nobilissima che, purtroppo, però, ai giorni nostri è caduta in disuso. È l’arte dell’ascoltare.
Direte che è un’affermazione audace, e lo è, in effetti, se pensate che le potenzialità di ascolto di cui noi disponiamo al giorno d’oggi non hanno eguali in nessun altro tempo della storia. Noi oggi siamo bombardati di parole, siamo bersagliati di messaggi, e abbiamo, come mai prima d’ora, accesso, in presa diretta, ad informazioni e competenze che riguardano l’intero sapere.
Eppure, per quanto possa sembrare paradossale, noi oggi non sappiamo più ascoltare. Abbiamo perso la capacità di ascoltare.
Come mai? Per capire le ragioni di un’affermazione così categorica forse vale la pena che ci soffermiamo un attimo sul significato della parola “ascoltare”. Che cosa vuol dire ascoltare?
Ascoltare è anzitutto soffermarsi, prendersi del tempo, sostare senza fretta su una parola, lasciando che essa sprigioni tutta la sua fragranza.
Non basta uno ascolto fugace: ad uno ascolto fugace le parole non si rivelano. Bisogna poter rimanere su di esse, bisogna poterle assaporare, bisogna poterle udire da angolature diverse.
Questo significa ascoltare!
E già da questo si capisce il perché oggi noi faccia così fatica ad ascoltare. Perché noi oggi andiamo veloci, siamo sempre di corsa e correndo non abbiamo tempo se non per un ascolto superficiale. Ci accontentiamo della prima impressione, della sensazione furtiva, dell’emozione momentanea, e non riusciamo, spesso, ad andare oltre quelle.
C’è una quantità sconfinata di parole, di rumori, di suoni, di immagini, di informazioni che, ogni giorno, transita davanti a noi, ma tutte queste cose noi non abbiamo il tempo che di sfiorarle e di lasciarcele scivolare addosso …
Ascoltare, però, non è solo dare alle parole che riceviamo il tempo di mostrarsi e di rivelarsi, ascoltare è, anche, chiedersi il senso di quelle parole.
Ascoltare è approfondire, investigare, è lasciare che le parole, le immagini, le informazioni che riceviamo ci facciano riflettere, ci diano da pensare, ci spingano ad interrogarci sul perché delle cose…
L’uomo che ascolta è l’uomo che non si accontenta della superficie, non si accontenta di registrare delle semplici informazioni o di accatastare delle parole dentro una lista, l’uomo che ascolta è l’uomo capace di cercare “dentro” e “oltre”.
E anche su questo, dobbiamo riconoscerlo, siamo in difetto.
Perché se è vero che siamo voraci di sapere, e non ne abbiamo mai abbastanza di cose da sapere, è altrettanto vero che pensare, con tutto quello che esso comporta in termini di tempo, di fatica, di complessità, non ci è così congeniale.
Ma anche se lo fosse mancherebbe ancora qualcosa. Per poter dire di essere capaci di ascoltare non basta, infatti, essere disposti a cercare il senso delle cose.
Perché questo accada bisogna che impariamo ad interrogarci sul senso che tutte queste cose hanno per noi.
Ascoltare è stabilire un legame, è riconoscere in tutto ciò che accade, parola, immagine, evento che sia, una parola rivolta a noi, una parola che attende di essere da noi riconosciuta e corrisposta.
È questa la cosa più difficile dell’ascoltare.
Talvolta, ci capita di appassionarci alle cose che leggiamo e ascoltiamo, ci capita di essere incantati di fronte ad una musica, ci capita di innamorarci della bellezza che risplende intorno a noi, e ci capita, persino, di lasciarci rapire dal desiderio di approfondire e di riflettere sulle cose, ma intuire che tutte queste cose possano avere un senso per noi, che possano avere qualcosa da dire alla nostra vita è ciò che fa la differenza ed è questa è cosa che spesso non riusciamo a fare …
Ascoltare non è una questione di orecchi o di occhi, ma di cuore.
È una questione di disposizione interiore.
E il Vangelo ce lo fa capire mettendo a confronto Giovanni il battista con la folla. Giovanni battista è in prigione, segregato nel buio di una cella, nelle segrete del palazzo di Erode, lontano da tutto e da tutti, eppure gli basta una semplice parola, riferita da qualcuno dei suoi discepoli, per intuire che in questo Gesù di cui tutti parlano c’è qualcosa che merita di essere ascoltato, c’è qualcosa di straordinariamente nuovo e promettente.
Lui Gesù non l’ha mai sentito predicare, non ha mai ascoltato in presa diretta le sue parole, eppure ha avvertito dentro di sé qualcosa che i tanti della folla, che pure Gesù lo ascoltano di continuo, non sono stati capaci di avvertire.
“Chi ha orecchie per intendere intenda”, dice Gesù. Avete sentito parlare Giovanni, ma le sue parole non hanno fatto breccia in voi e non vi hanno spinti a cambiare le vostre vite; ora siete qui ad ascoltare me, dice, prendete dalle mie labbra, siete in grado di riconoscere in queste mie parole la parola che conduce alla vita?
È una domanda che Gesù rivolge anche a noi, ad ognuno di noi. Sei in grado di riconoscere in queste mie parole la parola che conduce alla vita?
Giovanni il Battista, ascoltando parola di Gesù, ha immediatamente percepito la novità dirompente di quella parola, noi sappiamo fare altrettanto? O per noi la parola di Gesù è diventata una parola come tutte le altre?
Giovanni, ascoltando la parola di Gesù ne ha immediatamente intuito il carattere promettente: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.
Noi sappiamo fare altrettanto? Sappiamo riconoscere in questa parola la buona notizia di un Dio che ci ama e si prende cura di noi? La buona notizia di un Dio che è disposto anche a donare il suo figlio perché noi imparassimo che l’unica via che porta alla vita è quella che passa dall’amore?