
Quando gli evangelisti parlano di Giovanni Battista li troviamo come presi da una preoccupazione ossessiva: quella che non ci si inganni sul ruolo che egli gioca all’interno della storia della salvezza.
Non è lui la luce, la luce è Gesù. Lui è solo il solo colui che rende testimonianza alla luce.
Non è lui il salvatore, il salvatore è Gesù. Lui è solo il precursore, colui che prepara la strada al salvatore.
È come se gli evangelisti temessero che la fama debordante del Battista potesse in qualche modo oscurare Gesù, metterlo in ombra, e così facendo confondere i credenti mettendo a rischio la loro fede.
La domanda è: perché gli evangelisti manifestano questo timore? Certo non è un timore che viene esplicitato formalmente, ma di cui si intuisce facilmente la presenza.
Perché gli evangelisti, tutti e quattro, nessuno escluso, hanno l’esigenza di richiamare ogni volta la superiorità di Gesù? Anche quando si rivolgono a comunità che possiamo ben definire cristiane, composte quindi da persone che già credono in Gesù e che lo riconoscono come Signore?
C’è probabilmente, anzitutto, una ragione storica. Giovanni il battista è figura che ha lasciato un segno importante nella storia di Israele, basta vedere quando spazio egli si prende nella “storia giudaica” scritta da Giuseppe Flavio e quanto poco spazio egli conceda viceversa a Gesù.
È figura così di rilievo quella del Battista che quando gli evangelisti scrivono i loro vangeli la sua fama e la sua notorietà continuano a vivere benché molto tempo sia passato da quando Erode lo fece assassinare.
Una traccia della considerazione che la gente ha del Battista la si trova anche nei Vangeli: Gesù chiede ai suoi discepoli: “Chi dice la gente che io sia?” Risposta: Elia, uno dei profeti, Giovanni Battista risorto dai morti…
Giovanni Battista è figura luminosa, la cui luce continua a risplendere con il rischio di oscurare quella di Gesù per questo l’evangelista Giovanni insiste nel dire che “egli non è la luce, ma colui che è venuto a rendere testimonianza alla luce”.
Oltre la ragione storica, però, io credo ci sia anche un’altra ragione. Una ragione che potremmo definire teologica perché ha a che vedere con Dio, o, meglio con ciò che noi identifichiamo come Dio.
Qual è questa ragione?
È l’inclinazione, quasi spontanea, che ci spinge tutti a identificare Dio con ciò che fa più clamore, con ciò che appare meno ordinario, con ciò che si impone con la potenza, con ciò che convoglia l’attenzione di tutti.
Tra un Giovanni Battista che predica con voce tonante di profeta il venire inesorabile del castigo di Dio e un Gesù le cui parole suonano come un invito a riconoscersi in un Dio che vuole bene ai giusti e ai peccatori, voi chi scegliereste come uomo di Dio?
Tra un Giovanni Battista che raccoglie intorno a sé uomini e donne provenienti da ogni dove, che gli stessi potenti della terra ascoltano con timore e riverenza e un Gesù che scompare, in totale anonimato, dentro le trame senza memoria di villaggi sconosciuti della Galilea, circondati da contadini e pescatori, voi chi scegliereste come messia?
Tra un Giovanni Battista che si staglia nel deserto come figura ascetica e spirituale potente, scevra di ogni connivenza con la mondanità, e un Gesù spesso ritratto a mangiare e bere alla tavola dei pubblicani e ad interagire con le prostitute, voi chi scegliereste come rappresentante di Dio?
È la nostra tentazione di sempre!
È la tentazione di Elia che, cercando disperatamente Dio sul monte Oreb, lo invoca nel vento impetuoso, nel terremoto che sconvolge la terra, nel fuoco che brucia. Ma Dio non era né nel vento, dice il testo biblico, né nel terremoto, né nel fuoco: Dio era in una voce di silenzio sottile e impercettibile.
È la tentazione degli abitanti di Gerusalemme che acclamano festosamente Gesù caricando su di lui le attese di un messianismo politico e nazionalista: ecco il nostro re, il nostro liberatore viene… Ma è sulla croce, che è smentita di ogni trionfalismo messianico, che dovrà consumarsi la rivelazione dell’Eterno.
La puntigliosa, quasi ossessiva, segnalazione della marginalità di Giovanni rispetto a Gesù deve, dunque, suonare come un monito: non lasciatevi ingannare.
Non giudicate a partire dai vostri schemi…
Il fatto che intorno a lui non ci sia nessun clamore, il fatto che egli rifugga ostinatamente ogni dimostrazione di forza, il fatto che egli si mostri schivo, quasi impacciato, di fronte al riconoscimento delle folle, non significa che Gesù abbia meno titoli del Battista per rappresentare Dio.
Anzi è proprio il contrario: è in ragione del suo anonimato, del suo essere del tutto ordinario, della sua mitezza che talvolta può apparire debolezza che egli può parlare di sé come della “luce vera venuta nel mondo”.
Come, infatti, potrebbe altrimenti raccontare di un Dio che, scegliendo l’incarnazione, decide di entrare e confondersi dentro la storia degli uomini?
Come potrebbe altrimenti raccontare di un Dio che è disarmo di fronte all’uomo, che è amore incondizionato, che è misericordia senza appello?
Come potrebbe raccontare di un Dio che, contro ogni umana aspettativa, è divenuto prossimità e alleanza?
Gesù è trasparenza di Dio: è questo che lo rende la luce vera.
Luce forse non luminosa quanto quella delle tante nostre rappresentazioni di Dio, l’unica, però, in grado di salvare il mondo.