
Alla fine, giungono tutti lì, davanti alla grotta di Betlemme, a far da corona al re bambino. Ma non tutti ci arrivano nello stesso momento.
C’è chi arriva prima e c’è chi arriva dopo. Tra quelli che arrivano prima ci sono certamente i pastori. I pastori sono, infatti, i testimoni della prima ora: sono quelli che erano lì quando tutto è accaduto, quelli che hanno fatto esperienza della nascita del figlio di Dio “in presa diretta”, quelli che, loro malgrado, Dio ha voluto protagonisti dell’evento che ha cambiato il corso della storia.
Poi ci sono quelli che arrivano dopo e sono i magi. Poco sappiamo di loro, ma una cosa la sappiamo: loro non cerano quando il bagliore di luce avvolse i pastori, quando la voce squillanti degli angeli diede l’annuncio solenne della nascita del Dio bambino. Non c’erano perché erano in viaggio e quando arrivarono il canto sublime delle schiere celesti si è ormai dissolto nel silenzio della notte e non v’era più traccia tutt’intorno della luce folgorante che tanto aveva attirato l’attenzione dei pastori.
Alla grotta di Betlemme ci arrivarono anche loro, ma più tardi…
Ora, onde evitare che si tirino conclusioni improprie, vale la pena dire che qui “prima e dopo” non valgono come giudizio di valore, come spesso, invece, accade nella nostra vita dove è abbastanza normale considerare perdente uno che arriva dopo gli altri. I magi arrivano dopo, ma questo non significa che valgano meno dei pastori o che si debba riservare nei loro confronti qualche dubbio.
I magi arrivano, ma il motivo per cui essi arrivano “dopo” non ha nulla a che vedere né con la pigrizia, né con la distrazione, né con la superficialità, né, tanto meno, con l’imperizia.
Direi piuttosto così: il presepio, qui, accostando figure che si muovono con tempi e percorsi diversi, fa da specchio alla nostra vita reale. Nella vita reale, infatti, non ci si muove tutti con lo stesso passo, non si procede tutti allo stesso ritmo: c’è chi arriva prima e c’è chi arriva dopo, c’è chi procede compiendo un cammino lineare e regolare e così facendo persegue con naturalezza i propri obiettivi e chi procede, invece, compiendo percorsi che risultano talvolta tortuosi e intermittenti.
Ma soprattutto, mettendo l’uno accanto all’altro il diverso percorso dei pastori e del magi, la scrittura ci dice qualcosa di deciso sulla nostra esperienza di fede.
Che cosa ci dice?
Che la fede non per tutti e non sempre è un bagliore improvviso che ti sorprende nella notte, non sempre è una visione di angeli che ti seduce il cuore, non sempre è un canto armonioso di angeli che gratifica i sensi.
Molto più spesso la fede è un cammino lungo nella notte, è un processo lungo che chiede coraggio e tenacia, è un percorso che chiede fiducia e che reclama la fatica del pensiero, l’inquietudine del dubbio, l’ostinazione dell’ascolto.
La fede non è, se non in casi molto eccezionali, un’apparizione improvvisa, una teofania che ti stordisce: è un viaggio ed è un viaggio che chiede a chi lo percorre una vera e propria espropriazione di sé.
Una morte, potremmo dire facendo eco a quanto dice il grande scrittore inglese T. Eliot nel suo “viaggio dei Magi”.
Ci trascinammo per tutta quella strada per una Nascita o una Morte? Si chiedono i magi. Vi fu una Nascita, certo, ne avemmo prova e non avemmo dubbio. Avevo visto nascita e morte, ma le avevo pensate differenti; per noi questa Nascita fu come un’aspra ed amara sofferenza, come la Morte, la nostra morte.
Davanti al bambino, infatti si arriva solo se si è capaci di morire a sé stessi, solo se è capaci di rinunciare alle proprie ricchezze, non solo materiali, solo se si è disposti a mettere da parte le proprie certezze. Si arriva poveri davanti al bambino, ricchi solamente di quel tesoro, a lungo desiderato e cercato, per il quale si è compiuto il faticoso viaggio.
Davanti al bambino i magi portano oro, incenso e mirra, ci dice il vangelo di Matteo, ma questi doni non sono per loro, non sono loro, i magi, a beneficiarne, e non servono neppure ad affermare il loro lignaggio e la loro nobiltà. Non sono un’insegna!
Questi doni sono per il bambino: portare questi doni è il modo con cui i magi affermano che a questo punto la loro vera ricchezza è il bambino che giace davanti a loro nel luogo dove li ha condotti la stella.
Fanno quello che farà nella parabola di Gesù l’uomo ricco che, trovato il tesoro nel campo, vende tutto quello che possiede, per acquistare il campo in cui è sotterrato il tesoro. Anche i magi donano le loro ricchezze perché la ricchezza che giace davanti a loro è di gran lungo più straordinaria di quella che essi hanno potuto accumulare nella loro vita. e, soprattutto, la ricchezza che giace davanti a loro e che ha il volto del bambino di Betlemme, è l’unica di cui veramente hanno bisogno.
Anche noi quest’oggi siamo qui davanti al Bambino Gesù, sappiamo bene quali percorsi, quali viaggi, quali morti, ci sono dietro a questo nostro essere qui.
Forse non siamo quelli della prima ora, come i pastori, forse non siamo tra quelli che hanno avuto la fortuna di avere una folgorazione che gli ha cambiato la vita.
Siamo però qui anche noi davanti al Dio bambino e anche noi siamo qui per affermare che è lui ciò di cui non possiamo fare a meno, è lui la nostra ricchezza.
E se per arrivare qui il viaggio sarà ancora come morire, come dicono i magi nella poesia di Eliot, saremo lieti di un’altra morte.