E l’angelo partì da lei …

Omelia del 18 dicembre (Lc 1, 26-38a)

E l’angelo partì da lei …

Immagino sarà capitato anche a voi di fare un’esperienza indimenticabile, che so, un viaggio, una vacanza, un momento spirituale forte, un pellegrinaggio, e di desiderare intensamente che questa esperienza duri per sempre. 

Ebbene, chi da voi ha fatto questa esperienza sa che per quanto sia forte il nostro desiderio di prolungare all’infinito questi momenti, questi momenti sono destinati a finire e a lasciare, che ci piaccia o no, spazio alla ferialità, alle cose di sempre, alla solita vita. 

Le vacanze sono momenti belli, soprattutto, se ci permettono di vedere cose belle, di incontrare volti nuovi, di vivere in modo più spensierato e gratuito, ma non durano per sempre.  

I momenti spirituali forti ci vogliono perché alimentano il fuoco della fede e servono ad aprire in noi nuovi orizzonti, ma il loro destino non è quello di durare per sempre.

Prima o poi, l’inerzia della vita ci riporta alla normalità.

Maria di Nazareth vive la stessa esperienza.

Pensate al suo “a tu per tu” con l’angelo che le annuncia che sarà madre del figlio di Dio. Non è un momento indimenticabile? In questo “a tu pr tu” Maria si fa esperienza di un Dio che le si fa vicino, che l’avvolge con la sua luce, che la conferma con la sua parola a fugare ogni dubbio e ogni incerta, di un Dio che le riversa addossa il suo amore incondizionato: “tu sei la piena di grazia”.

Che cosa può essere più indimenticabile di questo?

Eppure, anche questo momento è destinato a finire. 

“E l’angelo partì da lei”. Così si conclude il vangelo dell’annunciazione: con un inciso che marca inesorabile il ritorno alla normalità. L’idillio deve finire, la parentesi aperta dall’irruzione dell’angelo, per quanto suggestiva, deve chiudersi e lasciare il posto alla vita reale dove non ci sono angeli che fanno irruzione nelle case e dove la parola di Dio è spesso avvolta di silenzio impenetrabile.

Cosa avrà provato Maria di Nazareth vedendo l’angelo dileguarsi nel nulla? Quello che probabilmente sperimentiamo anche noi quando, dopo aver vissuto un’esperienza meravigliosa, eccitante e emotivamente gratificante, ci troviamo di nuovo catapultati nella ferialità: un senso di disagio, di smarrimento, di nostalgia.

È comprensibile. Quando c’è un angelo con cui parlare, e un Dio di cui stupirti; quando parole di verità ti toccano il cuore e riempiono la vita di pace e di gioia, cancellando dubbi e paure; quando ti è dato di toccare con mano l’amore infinito di Dio, percependone l’immensa tenerezza e la forza, è chiaro che è tutto più facile …

E quando si ha avuto l’opportunità di vivere un’esperienza così è difficile convincersi di poterne fare a meno.

Eppure, è esattamente quello che il testo evangelico oggi ci suggerisce. 

L’inciso “e l’angelo partì da lei” non vale solo come amara constatazione di come le cose belle prima o poi finiscano, ma come indicazione di percorso a chi voglia vivere pienezza la propria vita. 

L’angelo deve partire perché Maria impari a sentire Dio che le parla anche quando nella ferialità della vita, intrisa di voci e di rumori, la sua voce è avvolta nel silenzio. L’angelo deve partire perché Maria impari a percepire la presenza amorevole di Dio anche quando, nella quotidianità di una vita malata di frenesia e di abitudine, egli sembra essere assente. 

L’angelo deve partire perché Maria impari il discernimento della volontà di Dio senza aver bisogno di un angelo che la rassicuri e le indichi la via. L’angelo deve partire perché Maria impari a dire con coraggio il suo eccomi attraverso le piccole e grandi obbedienze che la vita quotidiana impone. 

Noi non abbiamo una grande considerazione della ferialità. La sopportiamo e spesso lo facciamo con insofferenza. Per noi, infatti, la ferialità è noia, monotonia, insignificanza, mortificazione, ripetitività logorante.

L’inciso “e l’angelo partì da lei” è un invito a cambiare sguardo e a riconoscere nella ferialità il luogo della vita e il luogo della fede. 

Una vita e una fede che non siano in grado di declinarsi nella quotidianità anonima del tempo che corre altro non sono che una promessa destinata a rimanere incompiuta. Maria è chiamata a divenire madre del Figlio di Dio, ma una generatività che non si compia giorno dopo giorno nella trama ordinaria della vita quotidiana è una generatività da cui rischia di non nascere niente.

Tutto questo, però, non è facile: cambiare il nostro modo di guardare e vivere la ferialità non è cosa da poco. 

Per poterlo fare bisogna coltivare due abilità importanti. Bisogna, anzitutto, imparare a rendere nuove le cose sempre uguali. La nostra vita quotidiane è fatta di cose che si ripetono: negarlo è negare la realtà e pensare di poter vivere la vita come ricerca ossessiva del sempre nuovo è incamminarsi su una strada che, oltre a non avere alcuna via d’uscita, porta all’annientamento della nostra stessa esperienza umana. La nostra vita è fatta di cose che si ripetono, di abitudini consolidate, di scenari conosciuti: sta a noi renderle nuove vivendole ogni giorno in modo nuovo. 

Non cambiano le persone, non cambiano le nostre occupazioni, non cambia il luogo in cui viviamo, non cambiano le nostre responsabilità e non cambia nemmeno la nostra fede: cambia il nostro sguardo e il nostro modo sempre di rapportarci a tutte queste cose.

La seconda abilità, squisitamente evangelica. Incominciare a credere nella potenza di ciò che piccolo e apparentemente insignificante. Noi siamo abituati a pensare che le cose importanti siano solo quelle che si impongono all’attenzione di tutti, che gli interventi risolutivi siano solo quelli che competono agli uomini potenti

Il vangelo di oggi ci dice il contrario. Ci dice che anche un posto insignificante come Nazareth può diventare scenario di un evento di grazia, che anche una donna semplice e senza titoli come Maria può diventare decisiva nella storia della salvezza, che anche un bambino, un figlio dell’uomo, può diventare dimora dell’altissimo. Che cosa posso fare io, dice Maria? Lo Spirito santo stenderà su di te la sua ombra e tu diventerai madre dell’onnipotente.

C’è un potere nascosto nelle piccole cose ed è questo l’unico potere in grado di cambiare veramente il mondo. 

Maria l’ha creduto e noi?

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