
Il tempo è lo stesso per tutti, lo sappiamo. E lo sappiamo: il suo orologio non fa eccezioni, non fa sconti, o favori. Batte per tutti con la stessa medesima cadenza, immutabile, persistente, eterna.
Eppure, se ci penate bene: la percezione che abbiamo del tempo che passa non è per tutti la stessa.
Per qualcuno il tempo è un’opportunità da accogliere, per altri l’inesorabile avvicinarsi della fine. Per alcuni ha il volto promettente di un nuovo inizio, di un cambiamento radicale, di una svolta provvidenziale; per altri, invece, il volto angoscioso di un futuro incerto che fa paura e mette ansia.
Ci sono quelli che vivono la loro vita in stato di accelerazione continua per i quali il tempo appare sempre troppo lento e troppo vuoto, e, poi, ci sono quelli che, invece, il ritmo frenetico della vita lo patiscono. Per costoro il tempo batte sempre troppo veloce, è sempre un passo avanti, imprendibile.
Ci sono poi quelli per le quali il tempo si è fermato: sono coloro che vivono ripiegati nostalgicamente sul passato ad inseguire memorie immobili e senza vita.
E per contro ci sono persone per le quali il tempo non è ancora venuto, tanto sono proiettati in avanti, nell’attesa di ciò che deve ancora venire, nel desiderio di ciò che non è ancora.
Il tempo è lo stesso, ma le nostre percezioni di esse non possono essere più diverse. Come è possibile? Se il suo battito è identico per tutti come può il tempo apparirci con volti tanti diversi?
La verità è che il tempo non è affatto un pulsare senza tempo, non è affatto il battere di un orologio cosmico imperturbabile e persistente, non è affatto il ripetersi di una cadenza anonima e impersonale che regola le nostre vite.
O per lo meno non è anzitutto questo.
Il tempo è, prima di ogni altra cosa, lo spazio che interpella e mette in gioco le nostre libertà, lo spazio in cui si definiscono le nostre azioni, si producono le nostre scelte e prendono vita i nostri propositi. È lo spazio che ospita i nostri sogni, che circoscrive i nostri progetti, che raccoglie le nostre passioni.
Per questo ha un inizio e una fine, per questo ha delle accelerazioni e dei rallentamenti. Il tempo vive con noi, avanza con noi.
Non è qualcosa che regola le nostre vite a distanza, ma qualcosa che ha il respiro della nostra libertà. Il tempo è sempre tempo dell’uomo…
Per questo alla fine di un anno, di ogni anno, bisogna concedersi una pausa, bisogna prendersi del tempo, bisogna voltare lo sguardo all’indietro e chiedersi in tutta umiltà e responsabilità: come ho vissuto questo anno? Che ne ho fatto del tempo che mi è stato donato?
Come ho usato la mia libertà? L’ho usata per dare vita a qualcosa di bello e grande o l’ho soffocata sotto l’inerzia di una vita mediocre e senza sussulti?
L’ho usata per il bene o per il male?
E poi le scelte: quali scelte ho fatto, quali obiettivi ho raggiunto, quali attese mi hanno accompagnato?
Oggi la liturgia ci parla di benedizione. Che cos’è la benedizione?
Istintivamente, parlando di benedizione, a venirci in mente è la benevolenza di Dio, quella benevolenza che vorremmo Dio usasse nei nostri confronti, rendendo il nostro avvenire rigoglioso e fecondo di frutti di bene.
In realtà, se facciamo riferimento all’etimologia del termine, benedire significa “dire bene”. Bene-dicere: dire bene. Quando una persona è benedetta? Quando si può dire bene di lei. Ora, la domanda è: guardando a quello che abbiamo fatto quest’anno, guardiamo a come abbiamo vissuto possiamo dire bene di noi, possiamo dire di essere dei benedetti? Le persone che abbiamo incrociato e incontrato sul nostro cammino di quest’anno possono dire bene di noi, possono dire che siamo dei benedetti?
Dio può dire bene di noi, può dire che siamo dei benedetti?
La benedizione di Dio non può prescindere da noi, da quello che facciamo, da quello che siamo. La benedizione di Dio non è una magia, è una ratifica del bene che si è compiuto, è conferma di una volontà di bene che si legge dietro i nostri fallimenti con l’invito a rialzarsi e a portare a compimento ciò che si ha nel cuore. È attestazione di una bontà che c’è dentro ciascuno di noi e che nemmeno noi talvolta sappiamo percepire e riconoscere.
Aprirsi ad un nuovo anno nel segno della benedizione è molto lontano dal chiedere ingenuamente a Dio di operare un incantesimo che ci tenga al sicuro e ci sottragga all’esperienza del fallimento e della desolazione, aprirsi ad un nuovo anno nel segno della benedizione vuol dire assumere con serietà la responsabilità di un bene da operare con instancabile tenacia a vantaggio nostro e di tutti.
È fare tesoro di ciò che di buono si è fatto senza dimenticare il male che non si è riusciti ad evitare, perché anche attraverso di esse Dio ci indica la via del bene.
Ed è, infine, potersi guardare con gli occhi di Dio imparando a scorgere in noi, contro ogni rassegnazione e disperazione, il seme buono depositato in noi al fine di farlo crescere e fruttificare. Questa è la benedizione che, questa sera, vogliamo implorare dal Signore, per noi e per questo nostro mondo.