Non gregari, discepoli …

Omelia del 22 gennaio (Lc 9, 10b-17)

Non gregari, discepoli …

C’è sempre qualcosa che manca nella nostra vita.

Ma le mancanze, dobbiamo riconoscerlo, non sono tutte uguali e non vanno messe tutte sullo stesso piano.

Ci sono mancanze che ci privano di beni assolutamente superflui e non necessari di cui abbiamo bisogno solo perché siamo figli di una società dell’opulenza che ci rende avidi di ogni cosa. 

E ci sono mancanze, invece, che ci privano di ciò che è essenziale, di ciò che è necessario se si vuol vivere in modo degno la propria vita.

Penso, ad esempio, a quel bene immenso che è la libertà e penso a quanto questo bene oggi sia deficitario non solo nei luoghi in cui l’estremismo religioso e ideologico impone il suo giogo disumano, ma anche nel nostro mondo cosiddetto libero che ci vede spesso schiavi delle cose, delle sensazioni e del potere.

Penso a quel grande bene che è la pace, spesso insidiato dal persistere delle guerre e dall’imperversare della violenza che mortifica il cammino della vita.

Penso alla giustizia e al diritto dell’uguaglianza, altro bene necessario di cui spesso ci accorgiamo di essere privi complice un’economia che avvantaggia i più ricchi e una politica che premia i più furbi.

Ecco il pane, il pane di cui ci parla il libro dell’Esodo, il pane di cui ci parla il Vangelo, è simbolo di tutti questi beni che sono assolutamente necessari e di cui, tuttavia, spesso dobbiamo riconoscere la mancanza. 

Il pane è un bene primario, e, come tale, diventa simbolo di tutto ciò che nella vita è realmente indispensabile.

Questo i discepoli lo sanno bene. L’urgenza che si cela dietro il bisogno del pane l’avvertono con chiarezza, per questo dicono a Gesù: Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta. 

Sono bravi a leggere con lucidità la gravità della situazione, ma non è sufficiente. Constatare la mancanza del pane, e, persino, essere sensibili all’urgenza che tale mancanza reclama, non è sufficiente. I problemi non vanno solo registrati e inquadrati, vanno anche affrontati. Questo chiede loro Gesù: trovare una soluzione per far fronte al problema.

E qual è questa soluzione? 

La stessa alla quale ci affidiamo anche noi quando ci troviamo di fronte alle difficoltà, soprattutto se le difficoltà non ci riguardano da vicino e le giudichiamo troppo grandi per noi: deleghiamo, scarichiamo su altri la responsabilità di trovare una soluzione. 

Congeda la folla, dicono a Gesù, andranno loro stessi a comprarsi del pane lungo la strada. Noi non possiamo e non vogliamo farcene carico. Non ci compete, non abbiamo le risorse per potervi far fronte. Sono altri che ci devono pensare. 

I discepoli sono bravi a leggere il problema, ma non altrettanto bravi quando si tratta di farsene carico: la loro politica è la politica del congedo. 

Una politica che, come si diceva, ci è famigliare perché noi ci comportiamo allo stesso modo: scarichiamo sugli altri, scarichiamo sulle istituzioni, scarichiamo su coloro che detengono l’autorità. Tutti sono chiamati in causa, tranne noi.

Naturalmente questo non è il nostro unico modo di reagire quando ci troviamo di fronte ad un problema, ce n’è anche un altro che viene descritto molto bene nella pagina del libro dell’Esodo. 

Anche lì c’è una grave mancanza cui dover far fronte e anche lì è mancanza di pane, mancanza di ciò che è essenziale alla vita. 

Ebbene, come reagiscono Israeliti? 

Con la mormorazione, con la lamentazione, con la colpevolizzazione generalizzata.

Questo modo di reagire che noi conosciamo molto bene e di cui conosciamo molto bene i risvolti.

Il primo risvolto è l’insofferenza generalizzata contro tutto e tutti. 

Quando, infatti, si vive nella mormorazione e nella lamentazione continua il rischio è di perdere di vista il problema reale e problematizzare ogni cosa: tutto diventa un problema, anche ciò che di per sé non lo è.

Secondo risvolto: la miopia del cuore. È una sorta di malattia spirituale che ci rende impossibile riconoscere le cose buone che pure ci sono nella nostra vita. 

Gli israeliti sono a tal punto assorbiti dal problema della mancanza del pane che dimenticano il cammino virtuoso compiuto, e, soprattutto, dimenticano di aver guadagnato, cammin facendo, una condizione che essenziale che quand’erano in Egitto non avevano: la libertà. Il loro cammino, per quanto disagevole esso sia, è un cammino di libertà. 

Terzo risvolto: la colpevolizzazione indiscriminata. Di fronte alla mancanza del pane l’unica cosa che riescono a fare è identificare presunti colpevoli come se l’aver individuato il colpevole potesse aiutarli in qualche modo a superare il disagio.

Ora è facile capire che questo atteggiamento non è in alcun modo risolutivo, come non lo è neanche l’altro, quello della delega. 

Il modo risolutivo, la strada da percorrere non può che essere quella indicata da Gesù quando invita i suoi discepoli a mettersi in gioco, ad assumersi le proprie responsabilità, a prendere l’iniziativa con coraggio, senza nascondersi dietro alibi e giustificazioni.

Gesù non vuole gregari, che assistano semplicemente, o consulenti che facciano valutazioni, Gesù vuole discepoli che, in nome suo, si si facciano carico con responsabilità e sollecitudine dei problemi del mondo, mettendo in gioco se necessario il poco che hanno, e credendo, contro ogni evidenza, che esso è sufficiente.

Cinque pani e due pesci possono molto più di quel che si crede …

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