
Questa volta dobbiamo riconoscerlo: Gesù si è sbagliato…
Non che lo si possa biasimare: assediato com’era notte e giorno, da persone assetate di miracoli, avide di segni e di prodigi mirabolanti, sempre alla ricerca di conferme per la propria fragile fede, c’era da aspettarselo che all’ennesima richiesta di miracolo Gesù sbottasse con un rimprovero. “Voi mi cercate solo quando avete bisogno, credete solo se i vostri occhi vedono segni e prodigi …”.
Le cose, però, questa volta stanno diversamente. Colui che Gesù ha davanti agli occhi, infatti, il funzionario regio, di cui così poco sappiamo e di cui così poco ci dicono i Vangeli, non è come tutti gli altri.
Certo anche lui porta con sé una domanda, un bisogno, una richiesta di aiuto, ma c’è qualcosa che lo rende diverso da tutti gli altri.
Che cosa? Anzitutto il fatto che quel che chiede non lo chiede per sé, ma per il figlio che ama.
E l’amore per il figlio morente che lo spinge ai piedi di Gesù. E’ l’amore che nutre per la creatura a cui vuol bene a dare forza e verità alla sua invocazione. Capite: non si tratta di asservire Dio ad un proprio capriccio, si tratta piuttosto di ospitarlo nel proprio amore, spazio che Dio abita volentieri perché in esso si sente a casa. Dio è amore, di fatti, dice Giovanni.
Ebbene se Dio è amore il suo destino non può che essere quello di abitare l’amore e ogni tentativo di forzarlo oltre questi argini è fare violenza al suo nome. E bestemmia!
Avete presente le parole del comandamento: non pronunciare il nome di Dio invano? Ecco questo testo ci aiuta a comprenderne il significato dicendoci che c’è un solo modo di onorare il nome di Dio e di non pronunciarlo invano: fare in modo che esso risuoni dentro un’invocazione che nasce dall’amore e che riluce di tenerezza.
Il secondo motivo per cui la preghiera di quest’uomo è diversa da quella di tutti gli altri è la gravità della posta in gioco: qui, infatti, in gioco c’è la vita e la morte. La vita e la morte di un ragazzo, che non è mai una cosa da poco, ma non solo: qui è l’esperienza dell’umano nel suo radicale bisogno di riscatto dal destino di morte che l’affligge ad essere evocata. Quell’esperienza dell’umano che Dio ha visitato ponendo in essa la sua casa.
Se tu Signore sei il verbo fatto carne, se con la tua incarnazione hai portato le respiro della vita di Dio dentro la storia degli uomini, riscattando l’umano dal suo destino di morte, allora questa situazione nella quale la vita di un uomo è minacciata ti riguarda, non puoi rimanerne indifferente: ne va del tuo stesso essere Dio. Il funzionario lo sa, sembra intuire la portata della questione e non è un caso che per ben due volte usi il verbo discendere.
“Signore discendi prima che il mio bambino muoia …” Gesù deve discendere: certo, deve discendere perché Cana si trova in collina, mentre Cafarnao si trova nella depressione del Giordano, parecchi metri sotto il livello del mare e quindi chiunque volesse spostarsi da Cana a Cafarnao deve per forza di cose discendere. Ma non è solo questo il motivo per cui Gesù è invitato a discendere. “Discendere”, noi lo sappiamo bene, nel vocabolario di Giovanni, è un verbo teologico: è il verbo dell’incarnazione!
È il verbo che indica il movimento verso il basso che rompe gli argini che separano il mondo di Dio da quello degli uomini. È il verbo che dice del desiderio di Dio di abitare la storia degli uomini rivestendosi della loro carne e condividendone il limite estremo.
Ebbene, sembra dire il funzionario regio, a Gesù: se sei disceso dal cielo sulla terra per condividere l’umanità dell’uomo, ora bisogna che tu discenda fino all’abisso del suo dolore mortale, nel punto estremo in cui egli si trova davanti al dramma del nulla che l’inghiotte.
E bisogna che tu apra, proprio lì dove non sembra esserci più futuro, dove la piega del tempo sembra volgersi inesorabilmente su sé stessa, uno spiraglio di vita che restituisca l’uomo alla consapevolezza di essere amato e alla consapevolezza di essere amato di un amore che è più forte della morte perché porta dentro di sé la vita stessa di Dio.
Questo dice il funzionario regio dimostrando di aver compreso più di ogni altro, lui che è un pagano, che cosa c’è al cuore del mistero di Dio.
Per questo Gesù loda la sua fede ed esaudisce la sua preghiera. Tra i tanti che, con la loro preghiera, cercano di forzare la potenza di Gesù obbligandolo ad essere ciò che non è, quest’uomo, con la sua fede, offre a Gesù una traccia in modo che egli seguendo la traccia possa essere pienamente sé stesso e rivelare compiutamente la verità del suo mistero.