La donna al centro …

Omelia del 12 febbraio (Gv 8, 1-11)

La donna al centro …

Per due volte si dice che la donna è messa al centro, ma è veramente così? Certo, è al centro dello spazio, perché i farisei le si parano intorno, quasi per chiuderla in un assedio, ma questo significa essere al centro? Sarebbe al centro se qualcuno avesse qualche interesse per lei, ma qui non c’è nessuno a cui lei interessi veramente, nessuno che gli riservi un minimo di attenzione, nessuno che parli con lei, che provi a capire il perché ha fatto quello che ha fatto, che si esponga mettendosi in gioco personalmente in un inizio di relazione.

Quel che è veramente al centro qui è la legge: è la legge la vera protagonista del racconto e dietro la sua ombra tutti hanno da scomparire. 

Scompaiono gli scribi e farisei che paiono senza un’identità propria, senza un pensiero, senza una convinzione. Essi sono funzionari della legge: è la legge il loro pensiero e il loro infallibile metro di giudizio. 

E per Gesù le cose non dovrebbero essere differenti: anche lui dovrebbe scomparire dentro il cono d’ombra della legge. La richiesta fattagli di giudicare la donna e di valutare per lei una congrua sentenza di condanna è una finzione. A Gesù non è chiesto né di giudicare, né di condannare, ma semplicemente di confermare il giudizio e la condanna già pronunciate dalla legge. Come si conviene! Non c’è alcuna possibilità di disallineamento, pena l’accusa di essere un eretico.

Ora, la domanda è: Gesù accetterà di rimanere all’ombra della legge, come gli è intimato dai farisei, o deciderà di intervenire sulla questione esprimendo la propria personale posizione? E, soprattutto, accetterà di assecondare una posizione che lasci in ombra una vita umana, per quanto segnata dal peccato?

La risposta è nei suoi gesti e nelle sue parole.

Concentriamoci sul gesto. 

Interpellato dagli scribi e dai farisei circa la colpevolezza della donna, Gesù dice il testo, chinatosi col dito scriveva per terra …

Si sono fatte molte congetture circa il significato di questo gesto.

Una delle più famose e ancora oggi in voga è quella secondo la quale Gesù scrive i singoli peccati di coloro che conducono la donna sorpresa in flagrante adulterio. 

Altri ritengono che, in consonanza con l’uso romano, Gesù scriva il suo verdetto nei riguardi della donna e dei suoi detrattori prima di pronunciarlo. 

Altri ancora segnalano che il gesto di Gesù col dito richiama la scrittura della Legge da parte di Dio su tavole. In questo senso, Gesù starebbe scrivendo sulle tavole della nuova alleanza la nuova Legge dell’amore misericordioso. 

Suggestioni bellissime che non devono, però, farci perdere di vista quel che Gesù realmente fa: si abbassa a terra. Il verbo che si potrebbe tradurre con: «incombere», «chinarsi», «curvarsi», dice dell’abbassamento di Gesù. Gesù, da una posizione eretta assume una posizione curva e il suo curvarsi arriva fino a terra, dove Gesù lascia la sua impronta.

Difficile non vedere dietro questo abbassamento il mistero dell’incarnazione, il mistero di Dio che si fa solidale con l’uomo, che viene a condividere la sua storia, che si immedesima in un’umanità schiacciata, piegata sotto il peso della sua miseria. 

I farisei sono dottori, giudici, professore, fermi nelle loro certezze e nella loro imperturbabilità, così da non lasciarsi commuovere quando amministrano la giustizia, Gesù, invece, che ha fatto suo lo stile di Dio, non ha paura di lasciarsi coinvolgere, non ha paura di confondersi con la terra, non ha paura condividere la situazione di chi gli sta davanti.

E così facendo, sembra dire che la vera giustizia non si amministra “stando fuori”, ma entrando “dentro”, non si amministra con l’imparzialità e il distacco, ma con la compassione …

Per questo Gesù si rivolge alla donna chiamandola in causa direttamente e provocandone una risposta. Bisogna che ella non sia più  un oggetto e diventi una persona, interlocutore dentro una relazione. 

Fino ad ora c’era stata una parola su di lei, ora la parola è con lei …  

Se la “centralità” nei primi versetti non implicava alcuna relazione, e anzi, se così si può dire, raccomandava la distanza a favorire una maggior neutralità, la centralità messa in campo da Gesù chiama in causa la compassione e la relazione interpersonale e con esse l’attenzione alla persona.

Ora, voi capite che se questo è lo stile di Gesù, questo deve diventare anche lo stile dei discepoli, il nostro stile.

Anche noi dobbiamo diventare capaci di uno sguardo e di un giudizio che non siano soggiogati al potere deresponsabilizzante della legge; anche noi dobbiamo diventare capaci di uno sguardo che sappia vedere la persona e la sappia vedere, quando è il caso, dietro il peccato commesso, dietro l’irregolarità canonica, dietro il caso giudiziario. Anche noi dobbiamo diventare capaci di uno sguardo che sappia entrare in comunicazione, che sappia provare compassione, che sappia essere solidale.

Nella consapevolezza che fare tutto questo non significa rinunciare al giudizio e alla giustizia: il perdono è giudizio. Ma un giudizio non toglie la vita, ma la rilancia: va e non peccare più!

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