Il dono della fede

Omelia del 26 febbraio (Mt 4, 1-11)

Il dono della fede

Il tempo della Quaresima, nel quale oggi entriamo, è un tempo che offre grandi opportunità: opportunità di fare penitenza, opportunità di riflettere, opportunità di sostare, ancora una volta, davanti al mistero di Dio racchiuso negli eventi della Pasqua di Gesù.

Per noi l’opportunità sarà quella di poter continuare a parlare della preghiera. Ma di poterne parlare in modo diverso da come abbiamo fatto fino ad ora. 

Come abbiamo parlato della preghiera fino ad ora? 

Ne abbiamo parlato come di una parola che si alza verso Dio: un grido, una domanda, un’invocazione, che nascono dal profondo del nostro dal nostro cuore, transitano dalla nostra bocca e si inerpicano fino a raggiungere Dio. E, se ci pensate, è del tutto ovvio che fin qui si sia parlato di preghiera in questi termini: per noi la preghiera è questo. Ma è solo questo?

Se così fosse non sarebbe che un monologo, un assolo di cui l’uomo è l’unico solo vero protagonista, ma questo non farebbe venir meno la sua funzione più originaria che è quella di metterci in relazione con Dio?

In questa quaresima scopriremo che la preghiera non è solo una parola che dall’uomo si innalza verso Dio, ma anche il dono di una parola che si riceve da Dio. La preghiera è dialogo, è incontro, è reciprocità di uno scambio…

C’è in essa un movimento che porta l’uomo a Dio, ma c’è anche un movimento che porta Dio verso l’uomo. 

C’è la domanda con cui l’umanità affida il proprio bisogno a Dio perché se ne faccia carico, ma c’è anche la risposta con la quale Dio mostra di corrispondere a tale domanda, aprendo all’uomo inaspettate vie di speranza e di redenzione.

Signore, vorremmo in questo tempo di Quaresima, che tu ci aiutassi a mettere da parte una volta tanto le nostre parole; aiutaci, Signore a fare silenzio, a zittire le nostre domande, così che possiamo ascoltare, via il frastuono delle nostre chiacchere, la tua parola che viene a noi: quella parola che ha il volto di Gesù e che parla la lingua della sua carne di uomo.

È Gesù, infatti, la risposta di Dio all’invocazione dell’uomo, è Gesù la risposta di Dio all’uomo che grida lui, è Gesù il dono di Dio, quello definitivo, quello irrevocabile, quello perfetto.

Gesù è colui che, per usare le parole di Paolo che abbiamo posto come titolo del nostro cammino quaresimale “colma ogni bisogno dell’uomo”.

Ma di quale bisogno stiamo parlando? 

Il testo evangelico delle tentazioni ci dice che l’uomo ha anzitutto un bisogno di fede, ovvero, ha bisogno di dare una forma alla propria relazione con Dio perché sia una relazione autentica, ha bisogno di trovare il modo per stare con verità davanti a Dio. 

Gesù è parola venuta a colmare, anzitutto, questo bisogno di fede, a riconciliarci con Dio, direbbe San Paolo, a dirci come dobbiamo essere e come dobbiamo vivere se vogliamo stare dentro l’esperienza dell’alleanza.

E in che modo ce lo dice? Attraverso il suo modo di affrontare la tentazione. 

Che cos’è, infatti, la tentazione se non il tentativo di distogliere Gesù dal suo rapporto con Dio? Con la tentazione, il diavolo cerca di indurre Gesù a mettere in discussione la sua relazione con Dio, insinuando dentro di lui l’idea che possa esserci un modo diverso dal suo di stare di fronte a Dio e spingendolo verso una relazione che non è fede ma idolatria. 

Ecco perché il modo con cui Gesù affronta le tentazioni sono così importanti: ci dicono contro ogni tentazione di semplificazione, di riduzione o di falsificazione, come si sta davanti a Dio. 

E come si sta davanti a Dio? Anzitutto, dice Gesù, assumendosi le proprie responsabilità. È la tentazione del pane …

“Di’ che questi sassi diventino pane…”. Gesù sa che il pane non viene dalle pietre, non viene dal nulla. Ma dal lavoro dell’uomo. Il pane è l’esito di un lungo processo che chiede cura, attenzione, lavoro: la semina, la mietitura, il raccolto, l’impasto, la cottura. La storia del pane è una storia che racconta di lavoro e di responsabilità. 

E sa, Gesù, che acconsentire alla tentazione del satana vorrebbe dire rifiutare tutto questo rinunciando al proprio protagonismo e delegando a Dio. 

Per questo rifiuta. Una fede costruita sulla delega non può essere fede autentica, dice Gesù, una relazione con Dio nella quale l’uomo rifugga le proprie responsabilità è una relazione che non può stare in piedi.

Signore, quante volte anche a noi capita di cercare scorciatoie che ci risparmino dalla fatica e dal doverci assumere le nostre responsabilità. 

Aiutaci a capire che per stare davanti a Dio in modo autentico non possiamo prescindere dalla fatica del nostro lavoro che ci porta a coinvolgerci attivamente nella sua opera. 

Quella del pane non è però l’unica tentazione che mette in crisi la fede. Ce n’è anche una seconda: ed è la tentazione del tempio.

È del tempio anzitutto perché è il luogo in cui questa tentazione è ambientata, ma non solo. È del tempio anche perché questa tentazione è strettamente legata alla pratica del culto. Che cosa succede nel tempio? Si bruciano sacrifici e si fanno offerte, e si pensa che bastino queste cose per assicurarsi il favore di Dio. Quasi si trattasse di una sorta di automatismo: buttati giù e certamente Dio manderà degli angeli a salvarti…” Gesù dice: non c’è nessun automatismo! 

Una domanda, una richiesta di aiuto, un’invocazione possono, anzi debbono essere osate, purché però essere fioriscano dentro una relazione sincera fatta di ascolto e di intesa reciproca.

Aiutaci a capire, Signore, che fede autentica non è quella di corre a Dio quando ha bisogno, pretendendo il miracolo, ma l’obbedienza filiale di chi come te è sempre, in ogni momento, nella comunione con il Padre.

Potresti leggere anche: