L’acqua che estingue la sete

Omelia del 5 marzo(Gv 4, 5-42)

L’acqua che estingue la sete

C’è un apprendistato che si fa sui banchi di scuola e nelle aule universitarie e c’è un apprendistato propiziato invece dalle esperienze quotidiane della vita.

La donna samaritana il suo apprendistato lo fa al pozzo. Al pozzo, nell’ora più calda del giorno, quando il sole è più alto nel cielo, ella impara tutto quello che c’è da sapere su di sé e su Dio.

Ma non lo impara subito perché l’acquisizione di certi saperi, quelli che riguardano la vita e le cose importanti della vita non sono mai frutto dell’immediatezza o dell’improvvisazione. Questi saperi li si acquisisce solo se si ha la pazienza di mettersi in cammino, se si ha l’umiltà di fare domande, se si ha la disponibilità di incontrare il racconto dell’altro.

Il tempo del sapere è un tempo lungo, un tempo che chiede la disponibilità a mettersi in gioco ed è questo che fa la samaritana: si mette in gioco.

Si mette in gioco pronta ad incominciare un cammino senza sapere dove questo cammino la porterà.

Ma non è questa la condizione di ogni uomo che decide di affidare a Dio la propria vita? Abramo si mette in cammino verso una terra che non conosce, Mosè accetta la sfida di un nuovo ritorno in Egitto senza sapere quale sarà il suo destino, Israele si mette in viaggio verso terra promessa senza sapere quando e se vi potrà entrare. 

Bisogna fidarsi e la donna samaritana mostra di essere disposta a fidarsi, a lasciarsi guidare, ad intraprendere un cammino.

Di questo cammino noi non conosciamo il punto di arrivo, almeno per ora, conosciamo, però, il punto di partenza. 

E qual è questo punto di partenza? Il bisogno di acqua: la samaritana va al pozzo per attingere acqua.

Quello dell’acqua è un bisogno fisico, ma non solo. Noi sappiamo che, nella Bibbia, spesso il bisogno di acqua assurge a simbolo di altri bisogni più profondi e vitali. Il bisogno di sapienza, anzitutto.

Nella letteratura sapienziale l’acqua è, spesso, paragonata allo studio della legge da cui proviene la vera sapienza. Dissetarsi all’acqua del pozzo è una metafora del credente che, dal pozzo della sapienza divina, attinge la verità che lo fa vivere.

Dunque, dietro questo bisogno di acqua c’è un bisogno fisiologico, profondo, viscerale di sapienza, di conoscenza e di verità. 

Un bisogno che ritroviamo anche in noi e negli uomini del nostro tempo. Noi siamo assetati di sapere, siamo assetati di conoscenza, siamo assetati del desiderio di penetrare i segreti dell’infinitamente piccolo e insieme abbracciare gli orizzonti dell’infinitamente grande.  Noi abbiamo bisogno di sapere come funzionano le cose e il non saperlo ci mette in apprensione. In questo non siamo diversi dalla donna di Samaria: come lei abbiamo bisogno di sapere. 

Dietro il bisogno di acqua non c’è solo un desiderio di sapienza e di verità, se stiamo alla simbolica biblica dietro questo ricorrente bisogno di acqua dobbiamo leggervi anche un profondo bisogno di amore. 

E noi sappiamo quanto anche questo bisogno sia essenziale per la nostra vita. 

Noi abbiamo un profondo bisogno di amore, un profondo bisogno di essere amati, un profondo bisogno di vivere in armonia con gli altri e il sospetto che si fa strada in noi è che, se il nostro mondo è così drammaticamente segnato dall’odio e dell’inimicizia, è perché, con il tempo, progressivamente, abbiamo smarrito la bussola dell’amore: siamo sempre più soli e sempre più infelici. 

Dunque, all’inizio c’è un bisogno e questo bisogno di acqua, di sapienza, di amore, è comune sia a Gesù che alla samaritana, perché è comune di ogni uomo. 

Quel che non è comune è il modo con cui questo bisogno è affrontato. Gesù e la donna samaritana hanno entrambi bisogno di acqua, ma l’acqua che desiderano è diversa: la donna samaritana ha desiderio di un’acqua che procuri un sollievo momentaneo, di un’acqua che riempia temporaneamente un vuoto che poi si riformerà.  

E così vive di espedienti. 

Tampona la sua sete con un’acqua che non disseta, riempie i buchi della propria ignoranza affidandosi a parole vuote, s’accontenta di limitare il proprio sapere alle cose utili, alle competenze che le servono per vivere.

E così fa anche con l’amore: sente che c’è un bisogno di affetto e di amore cui far fronte, ma come vi fa fronte? Cambiando mariti – quattro ne ha avuti e quello che ha ora non è il suo -, moltiplicando le opportunità, assicurandosi gratificazioni passeggere.

In questa prospettiva persino Dio diventa un espediente: uno a cui chiedere di soddisfare un desiderio, uno con cui contrattare per avere protezione, a cui sacrificare per ottenere favori. 

Avrete notato che parlando di Dio il pensiero della samaritana corre subito ai luoghi del culto: ai luoghi in cui si sacrifica, ai luoghi in cui Dio si confonde con l’idolo. 

Diverso è l’atteggiamento di Gesù ed è qui che alla samaritana viene chiesto di fare il primo balzo in avanti. 

Gesù sa che, oltre all’acqua che spegne momentaneamente la sete, l’acqua che la samaritana cerca, c’è anche un’altra acqua, bevendo la quale non si ha più sete: se berrai di quest’acqua, le dice Gesù, non avrai più sete ed essa diventerà in te una sorgente che zampilla per la vita eterna. 

C’è una risposta al bisogno che si limita a colmare un vuoto momentaneo e c’è una risposta al bisogno che ci trasforma interiormente, sottraendoci alle nostre dipendenze. È quest’acqua il dono di Dio che Gesù custodisce!

Fino ad ora, dice Gesù, hai inseguito una sapienza che ti ha permesso di affrontare i problemi concreti della vita, una sapienza che ti ha consentito di sopravvivere, la sapienza che io ho da offrirti è visione di futuro, è sguardo capace di penetrare il mistero delle cose e delle persone senza violarlo, è intelligenza capace di scrutare il senso profondo delle cose e persino il senso dei vuoti che talvolta ci affliggono. 

Fino ad ora hai perseguito un amore facile, utile a riempire i vuoti di affetto e di solitudine, avido di gratificazioni che durano un attimo, l’amore che io posso donarti è un amore diverso, un amore che vive della certezza di essere amati, voluti, cercati. perdonati. Un amore che riempie la vita, che abita i silenzi, che non si lascia piegare dalle fatiche e dagli insuccessi, che non è orientato né su di sé né sul proprio bisogno, ma sugli altri e sul loro bisogno. 

Per questa strada la samaritana arriva finalmente a comprendere la verità su di sé e su Dio. Capisce che ciò di cui ha veramente bisogno, ciò che solamente potrebbe salvarla da una vita fatta di tentativi ed espedienti, è l’amore autentico e che è Dio l’unico che può donarglielo. 

Fino a quel momento l’unico Dio che aveva conosciuto era quello dei sacrifici, delle norme, del culto e della legge, ora scopre che il vero volto di Dio, l’unico veramente necessario, è quello dell’amore. 

Gesù si presenta a lei come lo sposo che le racconta di un Dio che non ha smesso di amarla e che ancora è disposto ad accoglierla nella sua casa. 

Un Dio che, con lei, è disposto a ricominciare daccapo!

Bellissime le parole finali che Gesù rivolge alla samaritana: sono io che ti parlo… 

Sono parole che rimandano, nella profezia di Isaia, al tempo del fidanzamento di Israele: l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore …

La brocca non serve più, inizia per lei un tempo nuovo. 

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