Ecco l’agnello di Dio …

Omelia di domenica 23 aprile

Ecco l’agnello di Dio …

Vorrei iniziare con l’evidenziare una discrepanza.

La discrepanza è nel modo con cui i vangeli sinottici e il vangelo di Giovanni trattano la figura del Battista.

Per i vangeli sinottici il battista è il precursore di Gesù, ovvero colui che viene prima, colui che ha il compito di preparare la strada Gesù, di aprirgli la via. Ed è in questa prospettiva che essi ci invitano a leggere il richiamo del Battista alla conversione, alla fede e alla giustizia. Tutte queste cose servono a preparare il terreno perché, al suo arrivo Gesù, trovi chi sia disposto ad accoglierlo con mente aperta e cuore generoso. 

Diverso è il vangelo di Giovanni, e il passo evangelico che oggi abbiamo ascoltato lo mostra chiaramente. In esso il Battista non è presentato come il precursore, ma come il testimone. Nel Vangelo di Giovanni il Battista è figura e paradigma della testimonianza.

Figura perché lui è colui che è deputato a rendere testimonianza alla verità; paradigma perché alla sua testimonianza deve ispirarsi ogni altra testimonianza a Gesù che voglia dirsi autenticamente cristiana. 

Ora la domanda che immediatamente sorge in noi è: come può il Battista essere testimone di Gesù? 

Nel nostro immaginario il testimone è colui che viene dopo, non prima, e il Battista viene prima. È lui stesso a dirlo: Dopo di me viene un uomo che è avanti a me …  

Nel nostro immaginario testimonia solo chi sa, chi ha fatto esperienza, chi ha maturato una consapevolezza e il Battista non ha nessuna di queste cose. 

È ancora lui a dirlo, senza remore: io non lo conoscevo. Lo dice per ben due volte.

Torniamo dunque alla nostra domanda iniziale: come può il Battista rendere testimonianza a Gesù se di lui non ha né esperienza né ha conoscenza? 

Non è una contraddizione? 

Non per l’evangelista Giovanni: per lui, infatti, requisito fondamentale della testimonianza non è il sapere, ma il vedere.

Il Battista non sa molte cose di Gesù, e neppure potrebbe saperle perché ciò che riguarda Gesù è un inedito per tutti, ma è uno che vede… 

Per due volte, all’inizio e alla fine del nostro racconto si dice che egli vede ed è proprio questo suo vedere a renderlo idoneo alla testimonianza.

Non il sapere, ma il vedere!

Perché il vedere e non il sapere? 

Perché il sapere è qualcosa di statico e paralizzante. Il sapere imprigiona in uno schema, vincola ad una precomprensione, chiude nel passato, forza le cose che devono accadere dentro uno spazio e un tempo. Nel sapere è la realtà a doversi adattare allo schema e non lo schema alla realtà, al contrario di quanto accade col vedere. Il vedere è presa diretta, è apertura al nuovo, è esposizione al presente che non pone limiti, lasciando che la realtà si manifesti in tutta la sua ampiezza in tutta la sua imprevedibilità.

Giovanni il Battista non conosce Gesù, ma è disposto a vedere e, così facendo, a riconoscere e ad accogliere la sua verità così come essa si rivela nel presente della vita. La domanda a questo punto diventa: che cosa vede il battista? Che cosa vede che possa aprirgli l’accesso alla verità di Gesù?

Vede due cose. 

La prima cosa è lo Spirito. Giovanni il Battista vede lo Spirito scendere su Gesù per rimanervi.

Che cosa vuol dire? Che in Gesù c’è un’ispirazione, una passione, una forza d’animo, una convinzione interiore, una determinazione che non sarebbero possibili se Dio non fosse con lui. Lui lo vede, lo percepisce. Certe cose non c’è bisogno di saperle, se ci sono le vedi e la presenza di Dio è una di quelle: non serve conoscere l’anagrafe religiosa di una persona per sapere se Dio è presente nella sua vita, basta guardarlo. Se Dio è presente in lui lo percepisci: nelle cose che fa, nelle cose che dice, nello stile con cui affronta la vita. Così è per Gesù. 

Giovanni non dispone di una teologia che lo apra il mistero di Gesù e tuttavia lo sente parlare, e vede che la sua parola genera vita, suscita speranza, crea relazioni, apre al futuro: in questo lui vede che all’opera lo spirito di Dio. Quello stesso spirito che nell’evento della creazione diventa parola che crea la vita e dà forma al mondo.

Mi chiedo se anche guardando noi la gente percepisca la stessa capacità di generare vita e suscitare speranza. Che cosa percepisce chi ci guarda? O meglio ancora: chi ci guarda percepisce qualcosa o siamo a tal punto anestetizzati dall’abitudine e dal razionalismo da essere diventati inespressivi?

La seconda cosa che il Battista vede, guardando Gesù, è l’agnello di Dio. 

Si sono fatte molte ipotesi sul significato da attribuire a questa espressione e la maggior parte di esse hanno una dominante sacrificale: parlando di “agnello”, infatti, a venirci in mente è anzitutto il sacrificio pasquale che per noi ha valore di espiazione. Gesù muore, si sacrifica caricando su di sé le nostre pene perché noi ne fossimo risparmiati. Ma ammesso che questo sia il modo corretto di interpretare il sacrificio pasquale di Gesù, e qualche dubbio è lecito averlo, esso è molto distante da ciò che il Battista vede guardando Gesù. Non c’è nulla ancora che faccia pensare alla morte sacrificale come al destino di Gesù. Motivo per cui forse è preferibile interpretare l’immagine dell’agnello non come un richiamo al sacrificio, ma come un’immagine di tenerezza e di appartenenza.

Nella Bibbia si fa spesso uso della simbolica pastorale e sono molti i testi che parlano del particolare rapporto di affetto, di reciproca appartenenza, di lealtà e persino di intimità che intercorrere tra il pastore e le pecore o gli agnelli. Uno spaccato di ciò ce lo offre lo stesso Gesù nel testo del buon pastore che si trova nel capitolo 10 del vangelo di Giovanni: il pastore conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui, riconoscono la sua voce e lo seguono. 

Tale simbolica è così pregnante che spesso la si trova a rappresentare il rapporto stesso che intercorre tra Dio e il suo popolo.

Ecco è forse dentro questo l’orizzonte che l’espressione “ecco l’agnello di Dio” trova la sua giusta collocazione. 

Gesù è l’agnello di Dio perché è il figlio amato, perché è il figlio di cui Dio si prende cura e con il quale vive un rapporto di intimità e di reciproca appartenenza. È l’agnello che il Dio buon Pastore stringe al proprio petto. Come lascia intendere il prologo: il logos sta presso Dio, riposa sul petto di Dio, vive in intimità di amore con lui. 

Il Battista intuisce che tra Gesù e Dio c’è qualcosa di singolare, un’intimità esclusiva, un legame profondo. Ed è in forza di questo legame indissolubile che Gesù vivrà l’intera sua vita come sacrificio d’amore offerto al Padre, sacrificio che non esclude, anzi, accetta liberamente e consapevolmente anche l’eventualità della morte.

Ora mi domando: le nostre vite lasciano trasparire un’intimità con Dio?

Le nostre vite appaiono a chi ci guarda un sacrificio d’amore?

Perché è da qui che passa il nostro rendere testimonianza alla verità di Gesù.

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