
Leggendo questa pagina di vangelo ci viene quasi naturale puntare il dito su Tommaso facendo di lui la quintessenza del discepolo esitante, dubbioso, inaffidabile di fronte al quale è lecito, anzi doveroso, provare indignazione e biasimo.
Io, quest’oggi, vi chiedo, però, di mettere da parte indignazione e biasimo, e di giudicare questo apostolo diffidente con indulgenza e con benevolenza.
Almeno per due motivi.
Il primo: Tommaso con la sua resistenza, con il suo scetticismo, con la sua esitazione ci sbatte davanti agli occhi una verità che ci riguarda tutti: che il cammino della fede non è mai un cammino lineare, un cammino rettilineo, un cammino in continua progressione, quello della fede è un cammino tortuoso, un cammino che deve mettere in conto molte battute d’arresto e, talvolta, persino degli arretramenti.
Noi abbiamo l’ardire di mettere in discussione la fede di Tommaso, quando lo vediamo titubante di fronte alla rivelazione degli altri discepoli, ma non dobbiamo dimenticare che Tommaso è quello che dice apertamente di essere disposto a morire pur di seguire Gesù, quando egli decide di tornare in Giudea per piangere sulla tomba dell’amico Lazzaro.
Eppure, ora, di fronte alla parola degli altri discepoli non crede, sente il bisogno di avere delle prove certe. Perché?
Forse perché ancora frastornato dal delirio degli eventi drammatici appena vissuti, forse perché restio a fidarsi dopo la delusione appena incassata con la morte di Gesù, forse perché avvinto dal naturale scetticismo che tuti provano di fronte a ciò che è inimmaginabile o forse semplicemente perché la fede è così: un impasto di luci e di ombre, un coagulo di momenti di intenso entusiasmo che scalda il cuore e momenti di crisi profonda che rende incerti i passi.
La fede è così ed è così per tutti
Il negarlo ci rende ingenui, presuntuosi e anche frustrati perché incapaci di reggere l’urto delle fatiche e delle contrarietà che inevitabilmente si incontrano lungo il cammino.
Ecco perché non dovremmo essere troppo duri con Tommaso…
Ma non dovremmo essere troppo duri con Tommaso anche per un altro motivo.
Perché, per quanto possa sembrare paradossale, la sua diffidenza ha anche qualcosa da insegnarci.
Il primo insegnamento è questo: la fede è una cosa seria e va presa seriamente.
Se Tommaso è diffidente e esitante il motivo non è solo la sua mancanza di fiducia, ma anche la sua scrupolosità.
Tommaso non è uno che si accontenta del sentito dire, non è di quelli che sono disposti a fidarsi mettendo in deroga la propria intelligenza.
Tommaso vuole capire, vuole toccare, vuole approfondire, vuole sicurezze: ciò che c’è in gioco è troppo grande perché lo si possa trattare con leggerezza.
Tommaso sa che nell’esperienza della fede è in gioco la propria vita, per questo, a costo di sembrare sgarbato, esige certezze e verità.
Si può dire lo stesso di noi? Diciamo di essere cristiani, ma sappiamo molto poco della nostra fede, ci sentiamo custodi della verità di Dio, ma conosciamo ben poco della parola che ci ha rivelato Dio, ci atteggiamo a difensori intransigenti dell’ortodossia, ma poche volte abbiamo perso il sonno spinti dal desiderio di approfondire, di comprendere, di cercare di venire a capo delle contraddizioni.
Anzi, abbiamo paura, talvolta, persino, a fare domande per timore che le risposte possano sconvolgere il confortevole castello di certezze che ci siamo costruiti.
Abbiamo paura a dialogare per paura che il pensiero degli altri possa al fine destabilizzarci.
Tommaso oggi ci insegna che la scelta della fede non può essere fatta alla leggera. Certo la fede è fede e quindi chiede fiducia, ma il fatto di chiedere fiducia non la esime dal cercare le ragioni che la legittimano come scelta cui affidare la vita.
Quello della serietà della fede non è, però, l’unico insegnamento che ci offre oggi l’apostolo Tommaso.
La sua diffidenza ha anche il merito, probabilmente non voluto, ma comunque merito, di aiutarci a comprendere una verità fondamentale della nostra fede: che non c’è nessun risorto se non c’è il corpo di Gesù di Nazareth, che non c’è nessun “risorto” se mancano i segni dei chiodi che rimandano alla croce.
I discepoli gli dicono: abbiamo visto il Signore. Ma per lui non è sufficiente.
Lui vuole vedere e toccare il corpo di Gesù, perché senza questa associazione tra il corpo glorioso di Gesù e il suo corpo umano non può esserci realmente nessuna fede cristiana. Senza questa associazione l’apparizione del risorto non è altro che la manifestazione di una qualsiasi entità ultraterrena, una visione mistica.
La fede cristiana non poggia sulla semplice convinzione della presenza del risorto, ma sulla convinzione che il risorto è Gesù, quel Gesù che ha parlato del regno di Dio, che ha predicato l’amore e la misericordia di Dio, quel Gesù che si è fatto servo dell’uomo, non ritenendo un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio.
La fede cristiana poggia sulla convinzione che il risorto è il crocifisso, e che solo l’amore di Dio è più forte della morte.
Noi pensiamo che fede pasquale sia credere che Dio ha il potere di vincere la morte, ma questo lo credevano anche i greci. Fede pasquale è credere che potenza di Dio che vince la morte è l’amore di Gesù.
Questo ci dice Tommaso con la sua diffidenza, con la sua volontà ostinata di toccare il corpo e le ferite di Gesù. Ci mostra che fede cristiana è affermare che potenza di Dio che vince la morte è la potenza che scaturisce dalla vita e dalla morte di Gesù.
Per questo Tommaso esige di vedere e toccare il corpo di Gesù e ora che lo vede e lo può toccare può finalmente dire, anche lui, “ho visto il Signore”.
Ora che davanti ai suoi occhi c’è Gesù, il crocifisso, la sua professione di fede può finalmente prendere forma in tutta la sua cristallina bellezza: mio Signore e mio Dio!