Il risveglio dell’obbedienza …

Omelia di domenica 19 novembre

Il risveglio dell’obbedienza …

Quando si svegliò dal suo lungo sonno l’obbedienza capì subito che qualcosa era cambiato intorno a lei, che il mondo che trovava non era lo stesso mondo che aveva lasciato.

Ne ebbe una chiara conferma quando decise di uscire di casa. 

Prima al suo passaggio la gente si fermava e accennava un inchino in segno di riverenza e di ammirazione. Le madri sussurravano nell’orecchio dei figli: “guarda passa l’obbedienza” e i figli rimanevano incantati come se si trovassero di fronte a qualcosa di meraviglioso.

Era, infatti, opinione condivisa che l’obbedienza fosse la più nobile delle virtù: l’obbedienza era il collante che teneva insieme le famiglie, era il mastice che teneva insieme la società, era il legame che teneva insieme l’uomo e Dio.

Ora non più! 

La gente guardava l’obbedienza con sospetto e con disprezzo. 

L’obbedienza non era vanitosa, non lo era mai stata, e come tale non pretendeva lode e ammirazione, non l’aveva mai preteso, e tuttavia il sentirsi addosso il disprezzo degli altri le dava un terribile fastidio. 

Anche perché non ne capiva il motivo. 

“Che cosa ho mai fatto”, si chiedeva, “perché la gente mi guardi in questo modo?”. 

Mentre era immersa nel suo lungo sonno doveva essere accaduto qualcosa che aveva cambiato il mondo, ma lei non ne sapeva nulla. 

Fu così che decise di farsi coraggio e di chiedere il motivo di questo inspiegabile disprezzo nei suoi confronti. 

“Ehi scusa”, disse a uno dei passanti, “avrei bisogno di chiederti una cosa. Tu sai chi sono io?”. “Certo”, si sentì dire in risposta, “Bene, allora saprai certamente dirmi perché la gente mi disprezza tanto?  

Il passante era un giovane molto pieno di sé e anche un po’ arrogante e quando si ebbe l’occasione di sbattere in faccia all’obbedienza quel che pensava di lei non si tirò indietro. “la gente ti disprezza perché tu ci hai rovinati tutti. Ci hai condannato per anni, anzi, per secoli, ad una vita servile. Ci hai fatto vivere una vita da schiavi. Ecco perché la gente ti disprezza. Ti disprezza perché tu, obbedienza, ci hai negato molto tempo la possibilità di essere noi stessi, di poter decidere autonomamente della nostra vita, di poter essere responsabili del nostro futuro. 

Con la tua ossessione per il quieto vivere ci hai destinati ad una vita di compromessi, di frustrazioni e di insopportabili sensi di colpa.

Le parole del giovane si abbatterono con la forza di una fiume in piena sulla povera obbedienza e la lasciarono tramortita e amareggiata. 

Non era facile per l’obbedienza, che si era sforzata di agire sempre per il bene dell’uomo e per la salvaguardia dei suoi effetti più sinceri, accorgersi di essere stata causa di tanto male e di tanto dolore. 

Per questo decise di tornarsene a casa e di rimanerci, non per ripicca o per l’orgoglio ferito, ma perché non voleva che la sua presenza potesse essere di nuovo motivo di dolore.

Il mondo era cambiato e non c’era più posto per lei, e così si contentava di guardarlo da lontano, dalla finestra della sua casa.

Un giorno però accade qualcosa di inaspettato: guardando fuori dalla finestra l’obbedienza vide un giovane seduto su una delle panchine che decoravano la piazza di fronte. 

Il giovane sembrava pensieroso e triste. L’obbedienza si fermò a lungo a guardarlo e l’idea di accorrere in suo aiuto le era venuta in mente più di una volta, ma lascio perdere, convinta che comunque non sarebbe stata in grado di aiutarlo. Il giorno dopo il giovane era ancora e, lo stesso, il giorno dopo ancora. 

Fu così che ruppe il suo giuramento e decise di andare a parlare con il ragazzo. 

Il ragazzo sapeva bene chi le stava davanti, ma era così desolato che sarebbe stato disposto ad accettare un consiglio da chiunque. 

“Che cosa succede?” chiese l’obbedienza.

Devo prendere una decisione importante che riguarda la mia vita e non so che decisione prendere. 

Sono arrivato all’ultimo anno di seminario e sento che il Signore mi chiama a servirlo con tutta la mia vita, ma sento che una scelta così mi precluderebbe la possibilità di fare tante cose che per me sono importanti. Devo obbedire alla mia vocazione o obbedire al mio istinto optando per le cose che mi rendono felice?

“Tu ami il Signore”, gli disse l’obbedienza. 

Se ami il Signore consegnare la tua vita la sua volontà è l’unico modo che hai per essere veramente libero: la libertà, infatti, è consegnare se stessi nelle mani di colui che si ama. Se rinunci a questo, potrai avere tutte le cose del mondo e fare tutte le esperienze che vuoi, ma nessuna di queste ti renderà veramente felice, perché è felice solo colui che consegna la propria vita nelle mani di colui che ama”.

Il giovane alzo il viso che fino a quel momento fissava il terreno e guardando negli occhi intensamente l’obbedienza, le disse una sola parola: grazie!

Si alzò e se ne andò via. Il ragazzo era stato molto colpito dalle parole dettegli dall’obbedienza e ne parlo ai suoi amici. E così la fama dell’obbedienza e della sua saggezza cominciò a crescere tant’è che qualche giorno dopo un altro ragazzo busso alla sua porta. 

“Dimmi”, disse l’obbedienza. “Io e la mia ragazza continuiamo litigare”, disse il ragazzo”, abbiamo idee diverse su tutto e nessuno di noi è disposto a cedere all’alto un po’ di terreno. Qualcuno ci ha detto che dobbiamo imparare a mettere in discussione il nostro punto di vista, ma a me sembra che così facendo finiamo per perdere noi stessi. Per questo sto meditando di lasciarla. Siamo troppo diversi per stare insieme. 

L’obbedienza lo guardo intensamente negli occhi e gli disse: “tu vuoi bene alla tua ragazza?” “Sì”, gli disse il ragazzo. “Vedi”, ribattè l’obbedienza, “quando ci si vuole bene non è più possibile pensare a sé indipendentemente dalla persona cui si vuole bene. L’io diventa un noi!

Per questo chi ama deve essere disposto ad accogliere il desiderio dell’altro, la volontà dell’altro, come fosse la sua. Chi ama non ritiene che accogliere la volontà dell’altro sia una rinuncia a se stesso, al contrario, sa che, se si ama, questo è l’unico il modo di ritrovare se stesso”

La fama dell’obbedienza crebbe e così dopo qualche giorno anche una giovane ragazza andò da lei in cerca di aiuto. 

“Io on voglio andare a scuola”, disse. “Quello che vorrei fare è divertirmi, godermi la vita, viaggiare, conoscere persone e invece i miei genitori mi dicono che devo andare a scuola e che devo occupare il mio tempo studiando cose inutili e facendo cose che non mi piacciono. Che cosa devo fare secondo te?” 

“Tu ami te stessa?” le disse l’obbedienza. “Certo”, replicò la ragazza.

“Bene” disse l’obbedienza, “Se tieni davvero a te stessa devi assicurarti di fare ciò che è bene per te, ma noi non sempre sappiamo che cosa è veramente bene per noi? Per questo dobbiamo farci aiutare. Lasciarci aiutare è l’unico modo per essere ciò che realmente vogliamo essere”. 

La ragazza ringraziò e la invitò a seguirla: “vorrei che venissi a scuola con me e dicessi anche le mie amiche la cosa che hai detto a me”. 

L’obbedienza rimase spiazzata da quell’invito: era molto che non usciva di casa e l’idea di tornare in mezzo alla gente con la rischio di sentirsi addosso il disprezzo le faceva paura, ma alla fine si lasciò convincere e così facendo si accorse che il giudizio della gente su di lei era cambiato. 

Mentre camminavano una bambina disse alla mamma: “guarda, mamma, c’è l’obbedienza. “No”, le disse la mamma, guarda bene, quella non è l’obbedienza, è l’amore!

Questa storia ci insegna una cosa importante. Ci insegna che l’obbedienza non è anzitutto un atto di sottomissione servile, ma un atto di amore, nel quale la vita non è perduta, ma ritrovata. 

Per Gesù è stato così. Per noi?

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