Le “sette lettere” di Delpini per Milano

Le “sette lettere” di Delpini per Milano

La città dei flussi e quella delle ferite, la città della ricchezza e quella della disperazione, la città della solidarietà e quella della solitudine, fino a quella del pensiero: per tutte, a conclusione della visita pastorale, giunge la parola di benedizione e di incoraggiamento dell’Arcivescovo. Ecco una sintesi.

Delpini constata che gli «ambienti accoglienti non accolgono più i ragazzi e i giovani per cui sono stati costruiti: sembra che pochi sappiano dove andare e di quale comunità facciano parte. Devo dirti la mia ammirazione: nel nome del Signore le porte rimangono aperte e lo Spirito suscita pensieri nuovi e tentativi forse ancora timidi perché il tuo volto sia quello della Chiesa dalle genti e della Chiesa “in uscita”, che conferma la sua missione a seminare il Vangelo, senza l’ansia di controllare come il seme germoglia e cresce e produce frutto. Devo però incoraggiarti a più grande fiducia e a un pensiero più coraggioso per immaginare una geografia inedita del campo in cui seminare».

Alla Chiesa è affidata una parola «che è come una spada tagliente», in particolare verso la ricchezza: «Devi infatti proclamare: guai a voi ricchi, beati voi poveri, secondo l’annuncio di Gesù, e puoi incontrare persone suscettibili e indisponibili a ricevere l’invito a conversione».

Delpini mette in guardia: «La ricchezza infatti è un grande pericolo, perché può indurre nella tentazione dell’attaccare il cuore fino a diventare servi del denaro, alla tentazione di credere di poter fare tutto quello che il denaro rende possibile senza distinguere bene e male, alla tentazione di essere arroganti e ritenersi autosufficienti. La ricchezza può indurre alla tentazione di dimenticare che di ogni cosa ricevuta dovremo rendere conto a Gesù… ti incoraggio a non tacere la parola del Vangelo che condanna la ricchezza accumulata ingiustamente, la ricchezza morta sepolta che non porta frutto per nessuno, la ricchezza della diseguaglianza scandalosa».

Eppure anche in questa realtà vi sono persone consapevoli e attente: «So però che, nella città dei ricchi, abitano uomini e donne che vivono la loro condizione come responsabilità di prendersi cura di tutti, di mettere a frutto i loro beni perché diventino beni comuni, producendo condizioni giuste di lavoro, opportunità di sviluppo per la città, solidarietà generosa con i poveri della città e i poveri del pianeta. Sono ispirati da un dovere di restituzione e le loro opere sono gradite al Signore». Come i tanti benefattori che nei secoli si sono distinti sostenendo istituzioni per i più deboli.

L’Arcivescovo è ammirato per i tanti doni di solidarietà che ha incontrato nella metropoli: «Lo Spirito di Dio ha suscitato in città innumerevoli e ammirevoli iniziative di solidarietà che spesso sono diventate servizi stabili, intelligenti, lungimiranti. Ogni situazione di bisogno ha trovato nella comunità cristiana una fraterna comprensione, una condivisione pronta a dare un aiuto, ad accompagnare cammini di inserimento, di promozione per una vita degna e autonoma». Tuttavia, «le risorse limitate e la complessità delle storie personali lasciano in città troppa miseria e troppa desolazione».

Un cenno poi al grande lavoro svolto in questo senso anche dal cammino sinodale diocesano: «La recensione delle associazioni di volontariato e delle iniziative di solidarietà che i “Gruppi Barnaba” hanno compiuto secondo il mandato ricevuto offre un quadro meraviglioso e persino sorprendente per quantità e qualità. Veramente si può dire che le comunità cristiane sono animate dallo Spirito di amore, di sapienza, di operosa disponibilità!».

Ma anche il mondo generoso della carità ha qualche problema che sta emergendo. «Ho però anche avvertito un velo di tristezza, segni di malumore, forme di scoraggiamento e di stanchezza. Si lamenta infatti la riduzione del numero dei volontari, si constata l’elevarsi dell’età e le scarse prospettive per il necessario ricambio generazionale. Si registrano inoltre situazioni sociali sempre più complesse, uno scoraggiante aumento delle necessità, un panorama di povertà inedite. Si constata che le istituzioni rivelano inadeguatezze e disattenzioni».

Di fronte a questo Delpini benedice e incoraggia: «Siamo chiamati a entrare nella logica evangelica: non possiamo immaginare di risolvere tutti i problemi e rimediare a ogni povertà: i poveri sono sempre con noi… Se abbiamo per tutti parole di incoraggiamento fraterno, se tutti ci aiutiamo sempre ad avere stima di noi stessi e a rispondere alla nostra vocazione, allora possiamo compiere le opere di Dio: essere fratelli nella povertà, essere sinceri nella disponibilità, essere costanti nella condivisione».

Una casa aperta e ospitale, questa è la Chiesa per l’Arcivescovo. «Mi commuove la profondità della tua compassione verso ogni persona ferita che bussa alla tua porta, verso ogni situazione desolata che incontri… non puoi rassegnarti di fronte alle sofferenze dei più deboli. Ma continui a constatare: non basta, non basta». E non tutti aiutano in una direzione di disponibilità: «E ti esaspera la retorica che passa oltre senza guardare, che esibisce il lusso senza provare vergogna, che visita i drammi per farne spettacolo, che chiacchiera, chiacchiera e giudica e passa oltre senza muovere un dito, senza farsi una domanda».

La risposta dei cristiani deve essere la testimonianza genuina del Vangelo ogni giorno: «Anche in questo nostro tempo che esibisce la presunzione di poter fare a meno di Dio o lo scetticismo di dover fare a meno di Dio, tu devi essere la presenza fiduciosa e generosa che non tace la sua fede e testimonia che solo in Dio possiamo trovare salvezza e guarigione, solo nella pratica della sua parola possiamo versare un balsamo di consolazione sulle ferite dell’umanità».

Delpini pensa alla Milano della cultura, alla città dell’innovazione, alla metropoli universitaria, in primis l’Università cattolica, e alla ricerca. «La sapienza che viene dall’alto, la rivelazione della verità sull’uomo, su Dio, sul creato, sulla storia e il suo senso ispiri la ricerca e la riflessione. Non venga meno l’audacia di un pensiero che si spinga oltre l’utile e l’efficienza, per coltivare le domande sul senso, sui criteri che devono orientare la scienza e la tecnologia. Devono infatti essere a favore dell’umanità dell’uomo e della donna. Un pensiero critico lucido e fiero, senza complessi di inferiorità, deve vigilare perché le scienze non riducano le persone a un meccanismo, non riducano il mondo a un mercato e non riducano la ricerca a servizio del profitto».

Un ruolo fondamentale lo devono svolgere i credenti di fronte all’egemonia culturale dell’individualismo. «I cristiani non possono ignorare che alcune espressioni del pensiero e della sensibilità contemporanea assumono come dogma indiscutibile l’autoreferenzialità dell’individuo. Si orientano così la scienza, la politica, l’economia al servizio dell’individualismo scriteriato dei potenti, dei ricchi, dei superbi che umiliano i poveri e sfruttano con insensata avidità le risorse del pianeta. I potenti, i ricchi, i superbi dispongono di strumenti di persuasione capaci di convincere a prostrarsi di fronte alla prepotenza mondana, ribelle e indifferente alla volontà di Dio».

«I discepoli di Gesù – continua Delpini – che abitano le frontiere della ricerca devono essere testimoni di una verità più luminosa, di un’economia più giusta, dell’ecologia integrale e della fraternità universale. Sono chiamati a confrontarsi con franchezza, lucidità, lungimiranza per un discorso persuasivo che mostri che la verità cristiana non mortifica il pensiero umano, ma anzi lo incoraggia a spingersi sempre oltre, nella direzione del bene comune, della giustizia, della pace».

Sono tante le solitudini nella grande e frettolosa città. Ma vanno superate: «Perciò i discepoli di Gesù formano la Chiesa, la convocazione accogliente, aperta, perché tutti sappiano che c’è una casa che li attende, c’è una trama di relazioni che consentono di praticare la carità e di affrontare insieme le situazioni della vita, la missione dell’evangelizzazione, la preghiera condivisa, la testimonianza della presenza del Signore risorto».

Da qui la riproposta di un impegno concreto: «Incoraggio tutti i discepoli del Signore a praticare l’arte del buon vicinato: guardare con simpatia chi abita vicino, riconoscere le invocazioni di aiuto, il bisogno di un sorriso amico… Le comunità possono anche inventare, con realismo e intelligenza, forme nuove di condivisione degli spazi per evitare lo scandalo di case troppo vuote e di troppe persone senza casa».

«Conosco la tua desolazione: abiti in una generazione che si è convinta dell’ingenuità della speranza. Sembra opinione comune che la vita venga dal nulla e declini inevitabilmente verso il nulla – sottolinea l’Arcivescovo -. La persuasione che la scienza offra l’unica spiegazione affidabile per quello che c’è e quello che succede… Vivi dunque nella desolazione perché l’annuncio decisivo, che è la tua missione, sembra che non interessi a nessuno… molte persone oggi ritengono insignificante l’annuncio e inaffidabile la promessa. Forse persino irridono i testimoni del Risorto…».

Cosa può fare perciò la Chiesa oggi e domani? «Non devi fare altro che restare fedele alla missione e continuare a testimoniare il Vangelo che hai ricevuto».

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