Il tempo di Natale

La storia del Natale

A differenza della festa di Pasqua, la cui data fu scelta fin dalla prima antichità cristiana in coincidenza con il fatto storico della Pasqua di Cristo, solo nel secolo IV la Chiesa cominciò a celebrare una festa dedicata alla nascita del Signore, e quando si dovette fissarne la data, non essendo possibile determinare il giorno preciso in cui nacque il Salvatore per il silenzio delle fonti evangeliche in proposito, la Chiesa scelse la strada di «cristianizzare» una festa di antica tradizione pagana e che ancora veniva celebrata non solo dalle persone rimaste legate al paganesimo, ma perfino da molti cristiani, forse per il suo fascino ed forse per il suo significato: si trattava della festa del solstizio di inverno con la quale si commemorava la nascita del sole, celebrata in Occidente al 25 dicembre e in Oriente al 6 gennaio.

Con il solstizio di inverno, infatti, la luce del sole comincia a riprendere il sopravvento sulla notte, il giorno si allunga progressivamente, mentre le ore di buio progressivamente si accorciano. Per celebrare questo evento naturale e stagionale, che vedeva come protagonista il dio Sole, i pagani avevano arricchito tale festa di affascinanti aspetti cultuali e rituali, che contribuivano, con la loro tenace sopravvivenza nella vita sociale della gente, a distogliere i cristiani dalla purezza della loro fede, inducendoli a celebrare, spesso in modo superstizioso, la nascita della divinità solare. Di qui si capisce l’azione della Chiesa, che da un lato conservò le vecchie date della tradizione pagana, ma dall’altro le svuotò di contenuto, perché sostituì al culto idolatrico del sole l’adorazione di Cristo, vero Dio e vero Uomo, incarnatosi nel grembo della vergine Maria. 

Cristo, luce del mondo

In un’antica ed anonima omelia degli inizi del secolo IV, a proposito della data del 25 dicembre, si legge: «Questo giorno i pagani lo chiamano anche Natale del Sole invitto. Ma che cosa è così invitto come nostro Signore, che annientò e vinse la morte? E se i pagani chiamano questo giorno Natale del sole, per noi è il Natale del nostro Signore Gesù Cristo, perché è lui il Sole di giustizia, il sole di cui ha parlato il profeta Malachia».

E così la Chiesa cominciò a celebrare la nascita di Cristo, il vero Sole invincibile, il Sole di giustizia profetizzato da Malachia, la «Luce del mondo», di cui ci parla il vangelo di Giovanni (Gv 8,2), immensamente più splendente di quella che proviene dal disco solare che brilla nel cielo. E facile allora comprendere perché le feste natalizie abbiano conservato come loro caratteristica propria la caratteristica della luminosità: se leggiamo con attenzione gli stessi testi liturgici, ci accorgiamo che sono tutti intessuti di richiami alla vera luce che solo con la nascita di Cristo si è diffusa sul mondo, mettendo in fuga le tenebre dell’errore, della idolatria, della disperazione, della mancanza di fede. E significativo, ad esempio, che l’orazione con la quale inizia la Messa ambrosiana della mezzanotte di Natale, non accenni neppure all’evento storico della nascita di Cristo, ma lo presenti trasfigurato nel simbolismo della luce: “O Dio che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, donaci di godere in cielo della sua stessa gioia perché abbiamo conosciuto in terra il fulgore del suo mistero”.

E il verbo si fece carne …

Oltre al venire di Gesù come luce del mondo, c’è un altro tema caro alla liturgia del Natale: è il tema dell’incarnazione del Figlio di Dio. Non a caso una delle pagine di vangelo che tornano più frequentemente durante le feste natalizie è il cosiddetto prologo di s. Giovanni, il grande inno nel quale si contempla la missione del Verbo venuto per salvare gli uomini donando ad essi la nuova identità di figli di Dio.

L’insistenza dimostrata dalla liturgia nel proporre a più riprese  questa questo passo nel giro di pochi giorni sta indubbiamente ad indicare che ci troviamo di fronte ad un testo fondamentale per la rivelazione cristiana ed imprescindibile per comprendere il significato profondo delle feste natalizie nel loro complesso. In effetti la frase centrale del prologo di s. Giovanni, quella più nota, anche perché ripetuta quotidianamente nella preghiera dell’Angelus Domini, sembra sintetizzare mirabilmente l’intero mistero natalizio: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”(G v 1,14). Su queste parole è opportuno sostare un attimo in meditazione.

Innanzitutto è importante notare che, se dovessimo tradurre alla lettera questa frase dall’originale testo greco, essa suonerebbe così«: e pose la sua tenda in mezzo a noi”. L ‘allusione è chiara: l’antico popolo ebraico era stato un popolo di nomadi nel deserto, quindi senza fissa dimora, senza quelle case o quei condomini stabili che per noi oggi sono ovvi e naturali; esso aveva dimorato invece sotto tende di pelli, montate artigianalmente durante le soste fra una marcia e l’altra nel deserto. Tenendo presente questo particolare, l’espressione usata da Giovanni nel prologo diventa più chiara e mette in luce un fatto straordinario, che nella nostra traduzione moderna («venne ad abitare») rischia di restare in ombra: il Verbo, cioè il Figlio di Dio, che è Dio con il Padre, ha piantato la sua tenda in mezzo alle nostre tende, si è fatto nomade con noi uomini, nomadi nel deserto della storia e della vita, non si è semplicemente scelto una abitazione, un appartamento in mezzo alle nostre abitazioni, il che gli avrebbe permesso di restare – sostanzialmente estraneo alle nostre vicende, ma ha voluto mettersi in cammino con l’uomo di ogni tempo, condividendone la vita fino in fondo. Potremmo quasi azzardare un’altra traduzione di questa importantefrase del vangelo: « … il Verbo si è fatto carne e volle coinvolgersi per sempre nella storia dell’umanità». Questo è il nucleo centrale delle feste natalizie, qui sta la grande novità della fede in Cristo che è venuto a salvarci.


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