
Quando nell’ormai lontano 1980 Carlo Maria Martini divenne vescovo di Milano volle inaugurare il suo ministero pastorale con una lettera che aveva questo titolo: “la dimensione contemplativa della vita”. La città stava vivendo un momento di trasformazione profonda e c’era bisogno di riaffermare il primato di Dio contro le pressioni di una cultura diffusa sempre più secolarizzata.
Oggi Milano non è più la città per la quale Martini scrisse la sua lettera. È una città diversa che raccoglie l’eredità di più di quarant’anni di cambiamenti e di innovazioni, eppure, il richiamo a non perdere il legame con il divino e con il trascendente suona ancora come profondamente attuale.
Per questo motivo l’Arcivescovo Mario nella sua lettera pastorale per l’anno 2022/23, suggerisce alle comunità cristiane della Diocesi di mettere a fuoco nei percorsi della pastorale ordinaria il grande tema della preghiera.
Ora mi domando: qual è la ragione dell’attualità della preghiera? Che cosa fa sì che il richiamo ad essa venga sempre recepito come urgente e necessario nonostante il passare del tempo e il rendersi mutevole dei contesti?
La ragione è semplice: dalla preghiera dipende il nostro essere cristiani. Un cristiano, infatti, è tale solo quando prega e solo se prega.
L’affermazione è forte, mi rendo conto, e le reazioni che potrebbe suscitare sono contrastanti: dal dissenso di chi, figlio del pragmatismo sfrenato che ha infestato la modernità, è convinto che l’unico modo di testimoniare il Vangelo sia quello di chi si dà da fare per gli altri, al favore di tutti coloro che, al contrario, ritengono che il vangelo lo si possa testimoniare solo chiudendosi in una Chiesa e rimanendo in ginocchio a pregare. Entrambe le reazioni sarebbero, però, fuori luogo, perché ancorate ad un medesimo presupposto sbagliato: l’idea che la preghiera la si possa ridurre ad un insieme di pratiche devote e l’idea che la si possa confinare in uno spazio e in un tempo sacro.
La preghiera non è questo: non è una postura del corpo, non è una formula da recitare, non è un rito cui assistere o uno spazio sacro da presidiare.
La preghiera è una tensione del cuore, è un dinamismo dello Spirito, è un profilo dell’esistenza: è il profilo di chi rimane in ascolto della parola, il profilo di chi si lascia abitare dallo Spirito, il profilo di chi, vivendo l’intimità della relazione con Dio, sperimenta che cosa vuol dire essere amato per riversare, poi, tale esperienza nella quotidianità del proprio vissuto. Ecco perché possiamo dire che il cristiano è tale solo se prega e quando prega: non perché consuma la propria vita tra luci di candele e i profumi di incenso, ma perché abita la storia con lo sguardo teso verso l’alto e verso l’Altro…
Non è però solo questo a rendere il richiamo alla dimensione contemplativa della vita così urgente e così attuale, c’è anche un’altra ragione. Dalla preghiera, infatti, non dipende solo il nostro essere cristiani e la qualità della nostra testimonianza evangelica, dall’esperienza della preghiera dipende anche, più radicalmente, il nostro essere umani. Potremmo dirla così facendo il calco dell’espressione usata poco sopra: l’essere umano è tale perché prega!
L’affermazione non è meno ardita di quella precedente se pensate che sono in molti a ritenere che la preghiera e, più in generale, l’atteggiamento religioso, rappresenti la regressione infantile di chi che vuole fuggire ai propri compiti e alle proprie responsabilità, una superstizione dentro la quale ci si rifugia per non affrontare la durezza della vita.
E non escludo che talvolta possa essere difficile anche per molti di noi cogliere il nesso che lega l’esperienza dell’uomo alla preghiera, dal momento che da sempre siamo abituati ad associare la preghiera all’esperienza religiosa: la preghiera come comunicazione con Dio, come intercessione, come risposta ad un appello.
La preghiera è certamente questo, ma è solo questo? Se riflettete bene vi accorgerete che c’è una preghiera ancor più originaria che ha la forma di un’intima invocazione. È l’invocazione appassionata che nasce dal s insopprimibile desiderio dell’uomo di essere ascoltato e amato. Questa preghiera è un grido, una domanda, un appello, una ricerca: la ricerca di qualcuno che sia disposto a posare il suo sguardo su di noi. Solo a questa condizione, infatti, la vita dell’uomo si umanizza, solo così la vita dell’uomo ritrova un senso capace di trasfigurare il tempo e lo spazio, trasformando entrambi in una promessa e in un dono.
Tenere lo sguardo teso verso l’alto e invocare Dio perché posi lo sguardo su di noi: questa è la preghiera e di questa preghiera noi abbiamo immenso bisogno, anche oggi. Ne abbiamo bisogno per essere cristiani e ne abbiamo bisogno per essere uomini…